Assenze e rinvii salvano i “cannibali” delle auto

Procede a rilento il processo alla banda dedita al furto e alla ricettazione. Già prescritta l’accusa di associazione per delinquere, a rischio anche le altre

Migration

di Stefania Totaro

Una presunta organizzazione criminale dedita al furto e alla ricettazione di auto alla sbarra al Tribunale di Monza. Ma i fatti sono vecchi di quasi 10 anni ormai, tanto che l’accusa di associazione per delinquere è già caduta in prescrizione e rischiano di finirci anche le altre, perché il processo non è ancora entrato nel vivo per le ripetute, anche se giustificate, assenze degli inquirenti chiamati in aula a testimoniare. La prossima udienza è stata fissata a maggio. Intanto sono già tre le composizioni del collegio dei giudici monzesi che nel frattempo si sono succedute. Basti pensare che a coordinare le indagini della polizia stradale di Seregno come titolare del fascicolo penale era la pm Donata Costa, che da quasi otto anni non è più in servizio alla Procura di Monza. La difesa della mezza dozzina di imputati non batte ciglio: i fatti contestati risalgono ad un periodo intorno al 2014 e, andando avanti così, non ci sarà aggravante che tenga per salvare le accuse dalla prescrizione, che senz’altro è destinata a venire pronunciata se non in primo grado, certamente in quelli successivi. Impossibile ovviamente anche ipotizzare che qualcuna delle misure cautelari scattate nel 2016 nei confronti dei presunti topi e ricettatori di auto sia ancora effettiva. In compenso, però, alcuni degli imputati non hanno mai smesso di esercitare la stessa attività illecita e negli anni sono nuovamente finiti nella rete delle forze dell’ordine.

Secondo l’accusa, la banda rubava auto (soprattutto di grossa cilindrata) tra Monza e la Brianza, ma anche nelle province di Cremona, Brescia, Piacenza, Bergamo, Lodi, Milano, Pavia, Parma e Torino. Il lavoro degli inquirenti ha portato ad appurare che spesso agiva su commissione di carrozzieri interessati a particolari pezzi di ricambio. Individuata l’auto richiesta, veniva approntato un piano per rubarla, anche attraverso un periodo di monitoraggio delle abitudini di vita dei legittimi proprietari, operando in tempi ristrettissimi. Il sodalizio criminale non si occupava però soltanto di furti ai fini di cannibalizzazione, ma si era anche specializzato a soddisfare il mercato del riciclaggio delle autovetture con capacità criminali anche a connotazione transnazionale. Le parti dei veicoli, ma anche le stesse vetture di grossa cilindrata, dopo il furto, venivano commercializzate anche in Slovenia, Croazia e persino in Africa. Accuse negate dagli imputati e dai loro difensori, pronti a dare battaglia in aula per dimostrare la loro innocenza. Se non fosse che, dopo che il dibattimento è stato avviato quasi due anni fa con un operante che è arrivato in aula per spiegare come si sono svolte le indagini e come si è arrivati ad identificare gli accusati, tutto è rimasto fermo al palo in attesa del prossimo rinvio.