MARCO GALVANI
Cronaca

Anticorpi monoclonali e genetica, nuove cure per i bimbi

La sfida per il futuro dell’oncologia pediatrica secondo Andrea Biondi, direttore scientifico della Fondazione per il bambino e la sua mamma

di Marco Galvani

"Guarire di più, guarire meglio". È questa la sfida per il futuro dell’oncologia pediatrica secondo Andrea Biondi, direttore scientifico della Fondazione Monza e Brianza per il bambino e la sua mamma. Nei reparti di oncoematologia pediatrica all’ospedale San Gerardo di Monza vengono curati e guariti bambini e adolescenti provenienti non soltanto da tutta Italia, ma anche dall’estero. Eppure "ancora adesso il 15% dei nostri pazienti muore e i tumori sono ancora la causa più frequente e importante di morte in età pediatrica - la dolorosa statistica del professor Biondi -. Non possiamo pensare che questo non rappresenti un problema, perché la prospettiva di un bambino di un anno che muore di tumore sono i suoi 79 anni di vita che abbiamo perso, con delle ricadute anche economiche".

Per questo l’impegno di "guarire di più, guarire meglio" significa "da un lato scoprire tutto del profilo genetico delle malattie, infatti oggi di ogni bambino con un tumore si fa il profilo genetico, una vera e propria ‘patente genetica’, dall’altro ci sono i farmaci". Oggi, spiega Biondi, "sperimentiamo per la prima volta, con uno studio rigoroso, regolato e randomizzato, un anticorpo monoclonale che fa da collegamento tra la cellula malata e il sistema immunitario. Una sperimentazione rigorosa per scoprire se questa molecola può dare dei benefici".

Un’altra sfida per il futuro dell’oncologia pediatrica è "combattere il tumore del bambino nel corpo di quel bambino. Perché - chiarisce - la malattia oggi la decifriamo sempre di più sequenziando il genoma, ma l’impatto sul corpo e sul genoma della patologia nei prossimi 10 anni è l’impatto della tossicità acuta, è l’efficacia della terapia e la prevenzione di quelli che vogliamo siano bambini che diventino adulti sani. Questa è la sfida del futuro". Aumentare la sopravvivenza, quindi, ma anche ridurre i potenziali effetti collaterali sulla distanza, dovuti alla terapia. Anche se negli anni il successo della cura è molto progredito, purtroppo circa il 15-20% dei bambini ricade nella malattia, spesso con esito drammatico. Ecco perché diventa vitale anche lo studio della malattia residua minima (ovvero la misura del numero di cellule malate che rimangono nel midollo osseo del piccolo paziente durante le prime fasi della terapia), parametro fondamentale per assegnare a ogni paziente il trattamento più adeguato, utilizzando l’"artiglieria pesante" dove serve e riducendo il dosaggio a chi, invece, non ne ha bisogno.

E già guardando i risultati fino a oggi ottenuti dall’oncologia in ambito pediatrico, una delle principali ragioni del successo di questa branca della medicina è "l’abitudine degli oncologi pediatrici, in Italia e nel mondo, di essere coordinati nel promuovere in modo ragionato l’arruolamento di bambini e adolescenti a protocolli di cura. Questo in Italia si realizza grazie alla rete dell’Aiop, con pochissime risorse, perché la conduzione di uno studio clinico ha dei costi che - conclude Biondi - non sono certo coperti dalle risorse recuperate dagli ospedali con il costo delle prestazioni".