Non aveva mai fatto dell’alpinismo una professione. Eppure Gianni Arcari, morto nei giorni scorsi a 85 anni, avrebbe avuto tutte le qualità per fare delle scalate un mestiere. Ma il rocciatore monzese, già dipendente dell’Ibm, non fece mai questa scelta. In pratica, non viveva di alpinismo, ma per l’alpinismo. "Viveva d’alpinismo – spiega Mario Cossa, vicepresidente del Cai Monza – nel senso che era la sua grande passione". La conferma arriva anche dal ricordo che ne ha fatto Lo Scarpone, il portale del Club Alpino Italiano.
"Negli anni Sessanta, in un’Italia ancora in pieno fermento economico e culturale – viene precisato – Arcari emerge rapidamente come uno dei più promettenti giovani alpinisti del panorama nazionale. Nel 1962, a 22 anni, viene premiato come miglior giovane alpinista italiano, accompagnato dalle congratulazioni di figure di spicco come Papa Giovanni XXIII e dal Presidente della Repubblica Antonio Segni". La sua sarà una carriera mai sbandierata, mai esibita con ostentazione. Anzi. Aveva arrampicato con rocciatori del calibro di Walter Bonatti, Nando Nusdeo (entrambi della Pell e Oss come lui), Reinhold Messner e Alessandro Gogna. Con Messner e Gogna, nel 1975, aveva preso parte alla spedizione sul Lhotse promossa e guidata da Riccardo Cassin, altro nome di spicco nell’alpinismo internazionale.
Arcari, Accademico del Club Alpino Italiano, del Cai Monza era stato consigliere, istruttore e direttore della scuola di alpinismo Filippo Berti. "Aveva fatto grandi cose – aggiunge Cossa – ma non metteva i manifesti in giro".
Gianni Gresio