
Arbitri
Milano, 1 febbraio 2023 - "Adesso basta, non ce la facciamo più". Ogni weekend è un massacro, ogni partita si entra sul terreno di gioco con la paura, ogni volta che torniamo a casa dobbiamo guardarci le spalle. Dicono tanto che si fa l’arbitro per “vocazione“, che la nostra è una missione... Solo chiacchiere, perché poi in campo e fuori non siamo tutelati. Lasciati soli con le nostre paure".
Marco è un giovane fischietto lombardo, ha 19 anni e ha cominciato la “carriera“ con la divisa nera, gialla e verde da qualche stagione. Campionati giovanili soprattutto, partite a 20, a volte 50 chilometri da casa. Non certo per soldi visto che i rimborsi (quando arrivano) oscillano fra i 25 e i 50 euro e ti ci paghi la colazione e un panino. Oltre la benzina. Solo che la passione non basta. Ed oggi, come accaduto nel post-pandemia, tanti “fischietti“ (soprattutto le nuove leve o comunque quelli giovani) decidono di abbandonare. Perché le aggressioni fisiche e verbali, in alcuni casi con vere e proprie spedizioni punitive cui partecipano dirigenti, calciatori e genitori, non sono più tollerabili. E così, se da una parte Aia e Figc reclamizzano da tempo la campagna che consente il doppio tesseramento, invitando i baby calciatori (età minima 14 anni) ad affacciarsi anche al mondo arbitrale, dall’altra c’è sconforto, rassegnazione e paura da parte dei diretti interessati. Con una fuga dai campetti di periferia che in molti casi sono diventati solo "sfogatoi" di malefatte.
Nelle ultime settimane abbiamo raccolto (ovviamente in forma anonima perché gli arbitri non sono autorizzati a parlare e devono chiedere il permesso per sfogarsi) denunce e testimonianze di ragazzini mandati sui campi di calcio angosciati e demoralizzati dalla totale mancanza di rispetto nei loro confronti. Umiliati e persino malmenati, da calciatori loro coetanei o dai genitori di questi ultimi, incapaci di insegnare con gesti pratici il vero valore dello sport. «Purtroppo sono stato vittima di un’aggressione vigliacca qualche tempo fa, al pronto soccorso sono stati necessari diversi punti di sutura alla testa dopo che un dirigente mi aveva tirato sulla fronte una bottiglietta di birra», racconta un arbitro poco più che ventenne.
Poi c’è chi arriva al contatto fisico diverso. "Ho ricevuto un calcio allo stomaco in una partita a fine anno - racconta un altro giovane “fischietto“ milanese - ma neppure nello spogliatoio mi sentivo sicuro e sono stato costretto a rifugiarmi in un negozio vicino il campo sportivo. Non so quando tornerò ad arbitrare..."..
Tutto ciò spesso avviene sotto gli occhi dei genitori dei giovanissimi direttori di gara, impotenti di fronte a simili scempi. "Mia figlia è stata spinta e insultata da calciatori e dirigenti, e da quella domenica bestiale ha deciso di non voler arbitrare mai più", dice il papà di una ragazza lombarda ritiratasi qualche mese fa dopo un’aggressione.
"Sono il padre di un arbitro 18enne - racconta il signor Mario -. Accompagno mio figlio a tutte le partite, ascolto di tutto e soffro per lui, cercando di pensare che quello in campo non è mio figlio. Altrimenti non so come andrebbe a finire con quelli seduti accanto a me che lo insultano e gli urlano contro. Durante l’intervallo ci scambiamo messaggi, l’ultima volta mi scrisse testualmente “non ce la faccio più“ e ho dovuto incoraggiarlo e dirgli di non mollare. Ma fino a quando potrà durare?"
C’è poi un altro fattore che spinge in tanti a mollare, i rimborsi molto bassi: «Vado in campo per pura passione - si sfoga Stefano, che nella vita di tutti i giorni fa lo studente universitario - ma a queste condizioni non ne vale più la pena. Nella migliore delle ipotesi dobbiamo aspettare tre mesi per ottenere i cinquanta euro a partita, con cui ci paghiamo pranzo e benzina. Tutto aumenta, tranne i rimborsi, fermi ormai da anni.Ma non fatemi dire di più, perché se poi scoprono chi sono rischio una bella sospensione». Si va avanti così, nell’indifferenza generale. E’ la durissima vita degli arbitri per passione, quelli che il sabato e la domenica sono chiamati anche a dirigere due gare per non far crollare il sistema. Perché senza arbitri non si gioca. Senza arbitri sul calcio calerebbe il sipario.