
Roberto Mancini e Filippo Inzaghi
Milano, 17 novembre 2014 - La stracittadina alle viste, con tutti i pittoreschi annessi e connessi di un cambio di panca in corso d’opera, ricorda al Mancio un vivo dispiacere, datato 4 maggio 2008 quando il Diavolo di Ancelotti gli complicò un po’ la conquista del sedicesimo scudetto nerazzurro. A quei tempi il Mancio aveva i capelli belli lunghi e mossi da un vento delicato, all’aroma di zenzero e chiodi di garofano, un giovin signore rinascimentale, ma anche un fiero capitano di ventura, Berto da Jesi come Braccio da Montone. Dall’altra parte della prateria ecco Carletto da Reggiolo, più che mai rubicondo, prima dei pallori londinesi e parigini. A quei tempi il Mancio aveva sciarpe a viluppo del collo, come lente erbe di fosso o come mascherate spire di biscione. Il Carletto, senza sciarpa al collo, cercava ammortizzatori orali e dissuasori della sigaretta masticando nel contempo almeno quattro gomme americane.
Ruminazioni e panneggi a parte, nella doratura di maggio, quel derby fu bello vivo tra un Diavolo che cercava un posto che dava ancora adito alla Champions League, bei tempi davvero. Il Milan vinse 2-1, e la prima rete rossonera partì proprio dalla testa di Inzaghi, a quei tempi in servizio effettivo e non ancora Pipposauro. L’altro lo infilò Kakà, ma qui saremmo alla danza degli spettri, per quanto sontuosi. In svantaggio di due reti, la Manciniana non si rassegnò a consegnare il derby da inerme: l’ultima parte del confronto (con un imberbe ma già inconfondibile Balotelli) fu un mezzo assalto all’arma bianca e di altri colori. Cruz accorciò, ma non fu abbastanza.
A uso dei nostalgici, ecco le formazioni. Così giocava il Milan (4-3-2-1): Kalac; Bonera, Nesta, Favalli 6 (41’ p.t. Jankulovski; Gattuso (21’ s.t. Brocchi), Pirlo, Ambrosini; Kakà, Seedorf; Inzaghi (31’ s.t. Pato). Così l’Inter (4-3-1-2): Julio Cesar; Maicon, Rivas (35’ s.t. Maxwell), Materazzi, Chivu; Vieira, Cambiasso, Zanetti; Maniche (20’ s.t. Balotelli); Cruz, Crespo (27’ s.t. Suazo). Come passa in fretta la gloria: anche a un addetto ai lavori che si presume informato sul rutilante divenire delle sapienti fette, certi cognomi sembrano emergere dalle lacune blu della nostra smemoratezza: ah, che periodo felice quando chiamavamo Maxwell l’Allegro Chirurgo o Chivu l’ex Romeno de Roma.
Sei anni sono passati, i figli sono cresciuti e le mamme imbiancate: oggi il Mancio non cerca rivincite specifiche al suo ridebutto sulla panca dell’Inter, ma si sa come vanno i derby: sovente la fortuna ci mette il suo piedino e non guarda in faccia alla fretta di tornare belli e vincenti, ansia che accomuna le cuginanze milanesi.