Dopo Giancarlo Beltrami, per sedici anni storico dirigente dell'Inter di Ivanoe Fraizzoli ed Ernesto Pellegrini (e spentosi il 27 settembre), se ne va un altro pezzo della grande Inter e del calcio italiano: è morto a 82 anni a seguito di complicazioni dovute alla malattia Bruno Bolchi, per tutti “Maciste”, tanto possente (ma mai scorretto) in campo, quanto mite e gentile nella vita. Apparentemente burbero era invece una persona squisita che quando nutriva fiducia e stima nel suo interlocutore si apriva ed era simpaticissima.
Era stato lui la prima figurina Panini (che - come si usava allora - aveva “dipinto una sua foto, facendola diventare a colori), ma soprattutto era stato un bravo giocatore e un eccellente allenatore (quattro promozioni dalla B, alla A: Bari, Cesena, Lecce, Reggina). Indimenticabile e clamoroso il doppio salto dalla C alla massima serie con il Bari negli anni '80, e una clamorosa semifinale di coppa Italia raggiunta dai pugliesi l'8 febbraio 1984 dopo aver eliminato la Juventus di Trapattoni e Platini. Bolchi aveva allenato in 21 città diverse dalla Sicilia in su, seminando sempre e soltanto stima, riuscendo ad ottenere il massimo dagli atleti; il che nel calcio non è sempre sufficiente per raggiungere il risultato sportivo inseguito.. La MIlano nerazzurra lo ricorda bene perché Bolchi aveva fatto in tempo a respirare l'aria della Grande Inter di cui era stato capitano a soli 21 anni (prima di andare al Verona, e poi passare all’Atalanta, e ancora al Torino e infine alla Pro Patria).vincendo uno scudetto.
Erano i tempi di Helenio Herrera, di una Serie A virata seppia. A dargli il soprannome del grande eroe mitologico era stato Gianni Brera, ma anche dopo la carriera da giocatore Bolchi è rimasto sempre Maciste per amici ed avversari, continuando a seguire la passione di una vita attraverso una prospettiva differente. Era Maciste per la stazza e per la presenza ‘scenica' da calciatore, allenatore e poi ancora come uomo vecchio stampo, di quelli che appartengono a un mondo dello sport che non esiste più. Mai una scorrettezza in campo: solo lealtà. Diceva Bolchi. “Capisco la modernità, ma ho un po’ di nostalgia di quelle partite in cui al novantesimo arrivavano gli undici giocatori che le avevano iniziate. E di quei derby in cui, dopo che ce le eravamo date sul campo, la domenica sera si andava a cena con gli avversari. Oggi se ti scappa una mezza frase di troppo, bruciano una città”.
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