
Federico Corona, maglia numero 10 dell’Offanenghese
Milano, 18 novembre 2020 - Le domeniche trascorse in poltrona sembrano non passare mai. Perché anche con il tempo è uggioso e le nuvole cariche di pioggia, per molti ragazzi e adulti, l’appuntamento con la partita era un rito irrinunciabile. Fermato solo dal Covid. Ancora una volta, come già accaduto in Primavera, il pallone ha smesso di rotolare sui campi delle periferie lombarde: neppure il tempo di cominciare e i campionati dilettantistici dall’Eccellenza in giù sono stati sospesi. Se ne riparlerà dopo gennaio, nella migliore delle ipotesi.
Difficile accettare tutto ciò. E quando sei costretto a restare fermo, puoi solo pensare. Riflettere. "Ho preso la scatola di grissini e mi sono seduto sul divano. Sono le 18.30, e comincio ad avere fame. Sarà perché è buio già da un paio d’ore e perché il tempo in queste giornate non è scandito da niente... Se non ci fosse l’orario indicato sullo smartphone potrei ritrovarmi a scrivere la buonanotte a un amica che sta andando dal parrucchiere. Mentre rosicchio uno dopo l’altro questi grissini sciapi c’è un pensiero, consolatorio e inquietante al tempo stesso, che mi passa per la testa... ci sono milioni di persone che alla domanda "dove vorresti essere?" darebbero la mia stessa risposta. No, non in un bar in cui fare un aperitivo. Ma in un campo da calcio". Così scrive sulla pagina facebook dell’Offanenghese (società del torneo di Eccellenza) uno dei suoi calciatori più talentuosi, Federico Corona, classe 1988. Il quale non è famoso solo per essere il fratello di Fabrizio, ma anche apprezzato per i suoi piedi “educati“. Nella vita fa il giornalista, ma la sua grande passione è il calcio. Federico gioca da anni in Eccellenza: Trezzano, Saronno, Brugherio e Sant’Angelo Lodigiano (ma è pure il top player della rappresentativa dei giornalisti lombardi), 80 gol segnati in carriera indossando la numero 10.
Nella società cremonese è arrivato la scorsa estate: "Quattro partite in campionato, 9 punti... subito in alto. Per me il pallone è divertimento. Ci alleniamo tre volte alla settimana e poi c’è l’attesa per la partita... Ora è dura stare fermi", ci dice Federico. Che ha raccontato sui “social“ il suo stato d’animo. "Vivo a Milano... e da queste parti il calcio dilettantistico sotto la serie D è fermo da 30 giorni. Era il 16 ottobre, e già nelle prime ore del pomeriggio erano arrivate parole del governatore Fontana che lasciavano intendere un imminente stop in tutta la Lombardia. Quel giorno mi sono diretto al campo d’allenamento con l’aria struggente di chi sta andando a casa dell’ex che l’ha appena lasciato per prendere le sue cose e sancire così la definitiva rottura, con la sottile e inconscia speranza che un giorno non troppo lontano tutta potesse tornare come un tempo. Ci sono 57 km che mi separano da Offanengo, e capite bene quanta malinconia potesse montare in quell’ora di strada. Arrivato al centro, speravo che il termoscanner che misura la temperatura balzasse a 38. Avrei avuto una scusa più accettabile per rimanere a casa nelle settimane successive. E invece il solito 36.3. Stavo benissimo, ma in realtà stavo di m...".
Il ritratto che Corona fa dello spogliatoio è la realtà vissuta da molte società: "Sul volto di compagni, staff, dirigenti, era dipinta la stessa amarezza in cui ero annegato da qualche ora. Qualcuno la nascondeva con l’ironia, i giocatori più anziani con falsi annunci ("è l’occasione giusta per smettere"), altri ancora non la nascondevano affatto, con gli occhi cupi che si affacciavano dalle mascherine. Era venerdì, giorno dell’analisi video con cui si prepara la partita di domenica. E sebbene tutti dentro quello spogliatoio sapessero che domenica non si sarebbe giocato, la dedizione con cui il mister illustrava punti di forza e debolezze del 4-2-3-1 dei nostri futuri, inesistenti avversari, e l’attenzione che la squadra gli prestava, erano intense e appassionate come sempre. Scesi in campo, abbiamo fatto un’esercitazione sulle conclusioni in porta. Fioccavano gol straordinari anche da piedi non esattamente straordinari. Sembrava che con quelle parabole tutti volessero scolpire un bel ricordo, consapevoli che se lo sarebbero portato avanti per mesi..." «Ad allenamento finito è arrivata l’ufficialità: si ferma tutto. Rientrati nello spogliatoio, tutti cercavano di tratteggiare un orizzonte. Di consolarsi fissando un obiettivo sulla possibile data di ripresa. Due settimane? Un mese? Dopo Natale? Mai? Di certo era meglio pulirle bene quelle scarpe, perché il rischio che quando le avremmo rimesse la terra avesse aderito come ruggine era altissimo. Ma un’altra domanda cominciava a farsi largo e alimentare il rancore: quello che abbiamo fatto in questi due mesi, la fatica, l’impegno, la partecipazione i sacrifici, è stato tutto inutile?".
Rabbia e amarezza simescolano con la nostalgia nelle parole di Corona. "Ho dovuto riassaporare le vertigini del lockdown per trovare una risposta rassicurante. È stato proprio su questo divano in cui sto mangiando grissini insapore che mi sono reso conto di quanto, al contrario, quel tempo sia stato prezioso. E di quanto lo sarà nel giorno in cui ce ne riapproprieremo. Perché quelle ore passate sul campo sono state – e saranno - il miglior vaccino contro il pensiero totalizzante del virus. Una volta lì dentro, quest’ombra che da nove mesi segue ogni nostro passo svaniva nel nulla... È questo, insieme alla passione, che oggi ci permette di guardare avanti con fiducia". La chiosa finale è un invito alla speranza: "Sono certo che anche tu, collega di qualunque età e qualunque categoria, stai pensando al volto dolce del magazziniere della tua squadra con lo stesso desiderio di rivederlo con cui una volta immaginavi quello celestiale di Charlize Theron. So che stai guardando il calcio in tv con tristezza e invidia. A oggi nessuno sa quando, come e se ripartiremo. Le nostre borse giacciono in qualche angolo nascosto della casa. La mia è nel cassonetto dove ho le valigie, pronta per il prossimo viaggio"