Vasco Rossi, il Komandante all'Ippodromo: trenta pezzi, nel mirino guerra e negazionismo

"Fuck the war" sparato a tutta, tra inediti, intramontabili e il solito impegno in prima linea di Vasco. Con una sezione di fiati, più di una punta di soul e un palco iper-tecnologico da 200 tonnellate di acciaio

Vasco Rossi

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Milano - L’emozione vera, quella che incrina la voce e fa tremare le gambe, Vasco l’ha provata forse solo giovedì scorso quando alla prova generale di Trento s’è trovato davanti a 12mila fans in delirio. La sera dopo, nonostante il mare di facce si fosse decuplicato, era già tornato il Komandante senza macchia e senza paura smanioso di regalarsi "una notte d’amore dopo tre anni d’astinenza". Giusto così, perché per affrontare spazi enormi come quell’Ippodromo Snai La Maura che inaugura questa sera, Rossi è obbligato ad indossare la maschera tagliente dell’unico, vero e solo. Quasi inevitabile, infatti, che Milano per inaugurare un nuovo spazio per la musica avesse bisogno di lui. A La Maura il palco dell’eroe di “Siamo qui” - 200 tonnellate di acciaio e apparati tecnologici, largo 90 metri, alto 28, profondo 26 - ha preso forma nel fine settimana, mentre quello utilizzato a Trento era già in viaggio per Imola dove lo show approda sabato prossimo con l’intenzione di rinfocolare il ricordo delle eroiche gesta all’Heineken Jammin’ Festival.

Anche a due chilometri di distanza dai sacri spalti di quel “Meazza” che ha incrociato 29 volte (sei solo in un 2019 da record), la liturgia di Rossi resta sempre la stessa, anche se stavolta con una punta di soul in più per la presenza di un’intera sezione fiati. Facile individuare tra i solchi dell’ultimo album “Siamo qui” il brano perfetto per dare fuoco alle polveri di questa nuova avventura; è la muscolosa “XI Comandamento”, gran protagonista di un avvio che sembra rubato al Joshua Tree Tour degli U2 di cinque anni fa per la presenza sui maxischermi di immagini in bianco e nero molto simili a quelle realizzate da Anton Corbijn per Bono & Co. tra i cespugli e le carcasse di auto abbandonate nel deserto.

Sul palco extralarge trovano posto gli irrinunciabili Vince Pastano e Stef Burns alle chitarre, la più rinunciabile Beatrice Antolini a cori e percussioni, Andrea Torresani al basso, Matt Laug alla batteria, Alberto Rocchetti alle tastiere, Frank Nemola a tastiere e programmazioni. Ai fiati Andrea Ferrario, sax, Tiziano Bianchi, tromba, e Roberto Solimando, trombone.

Una trentina i pezzi in repertorio fra cui un pugno di sorprese come “Amore… aiuto”, “…Muoviti!” o quella “Ti taglio la gola” in cui Vasco trova modo di citare pure Grignani ("appena ti prendo da sola… ti raso l’aiuola"). In “Eh… già” il verso “ormai io sono vaccinato” gli offre il destro per ricordare che lui di dosi ne ha tre. Il bis di “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, invece, l’attacca con ironia ("L’aveva detto il vecchio pazzo / che abitava il monte… e non è Red Ronnie") per poi trasformarla in un ruggente manifesto contro la guerra, i populisti, i negazionisti (a proposito dell’amico Red) corroborato da un perentorio “fuck the war!” a 750 mila watt. Sempre nel bis si (ri)materializza al basso il compagno di tante battaglie Claudio Golinelli. Ed è ovazione.

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