Milano, il bilancio del Comune: “8 milioni in più per povertà e accoglienza. I Cpr sono luoghi inumani"

L’assessore comunale Bertolè: “Coesione sociale con Gabrielli? Aiuteremo gli adolescenti in difficoltà. I campi rom vanno superati, ma non spostando il problema altrove”

L’assessore comunale al Welfare Lamberto Bertolè

L’assessore comunale al Welfare Lamberto Bertolè

Assessore Lamberto Bertolè, partiamo dai numeri: il bilancio preventivo del Comune prevede un incremento della spesa sociale da 255 a 263 milioni di euro nel 2024.

"Nel 2023 siamo partiti più bassi, nella manovra 2024 più alti rispetto al preventivo dell’anno scorso. L’obiettivo resta lo stesso: incrementare le risorse per il sociale nelle manovre successive al preventivo 2024. Sarà un bilancio dinamico".

Alla fine del 2024 la spesa sarà maggiore per il welfare?

"L’obiettivo è questo, perché i bisogni stanno aumentando e bisogna cercare di fare di più, anche grazie alla capacità di raccogliere risorse esterne. Mi riferisco in primis ai fondi dell’Unione europea ma anche ad altre fonti di finanziamento. Questo ci aiuterà a confermare, anzi ad aumentare, i fondi del welfare, e a non arretrare in una fase delicata come questa. A fronte di emergenze che il Governo continua a scaricare sui Comuni, sarebbe importantissimo che invece l’esecutivo nazionale sostenesse di più gli enti locali. Su tanti fronti: dai minori non accompagnati ai fenomeni di marginalità sociale. Sono tante le questioni su cui ai Comuni si chiede di fare molto, senza però avere una coerenza tra competenze e risorse attribuite. Sarebbe ora che gli enti locali non venissero più penalizzati come sta accadendo".

L’aumento della spesa del welfare previsto nel bilancio preventivo su quali progetti sarà concentrato?

"Salute mentale, contrasto alla povertà delle famiglie, accoglienza e marginalità".

Lei, assessore, fa parte del Comitato strategico creato dal sindaco Giuseppe Sala per affrontare insieme all’ex capo della Polizia Franco Gabrielli e all’assessore Marco Granelli i temi della Sicurezza e della Coesione sociale. Quali interventi avete in mente per aumentare la coesione sociale, il tema che più da vicino la riguarda?

"Dobbiamo lavorare nei quartieri per promuovere la coesione sociale attraverso attività di sostegno e di accompagnamento anche educativo, ad esempio per gli adolescenti in difficoltà, per le persone che rischiano di intraprendere percorsi di devianza o di violenza e per le persone fragili o vulnerabili".

Campi rom. Nel 2024 chiuderete qualche altro insediamento comunale?

"La strategia che portiamo avanti insieme all’assessore alla Sicurezza Granelli è quella del superamento dei campi rom. A noi, però, non interessa chiudere quegli insediamenti senza aver trovato prima una soluzione per chi ci vive. In caso contrario – abbiamo visto ciò che è accaduto fino al 2011 – il rischio è che aumentino le occupazioni abusive di case nei quartieri popolari. Come abbiamo fatto per via Vaiano Valle e via Bolla, vogliamo intervenire avendo già in mano soluzioni per le persone che dovranno lasciare quei luoghi. La chiusura dei campi rom deve portare a superare il problema, non a spostarlo altrove".

Qual è il prossimo campo nomadi che sarà chiuso?

"Ci stiamo ancora confrontando. Quando avremo fissato un programma lo condivideremo".

Il Consiglio comunale ha votato un ordine del giorno che propone la chiusura del Cpr di via Corelli, dopo l’inchiesta avviata dalla Procura sulle condizioni inumane in cui vivono i migranti in quella struttura. Lei è per la chiusura del Cpr?

"Quello che è avvenuto in via Corelli è gravissimo. Penso che sui Cpr bisogna aprire una riflessione, perché sono strutture che hanno costi altissimi e che si sono rivelate spesso inumane e inefficaci. Inumane perché sono strutture detentive per persone che non hanno commesso reati. Inefficaci perché il numero di rimpatri è molto basso. Bisogna rivedere la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, che si è dimostrata totalmente inefficace: con il meccanismo delle quote per il lavoro, abbiamo coperto 160 posti di lavoro su 600 mila richieste da parte dei datori di lavoro. E quei 160 mila erano in gran parte persone già residenti in Italia. Ad oggi non ci sono canali regolari di ingresso in Italia per il lavoro, se non il ricongiungimento familiare e la domanda di protezione umanitaria".

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