Il Milan vince lo scudetto: rossoneri campioni d'Italia. I momenti chiave della stagione

I rossoneri battono 3-0 il Sassuolo, con doppietta di Giroud e rete di Kessié. Dopo undici anni il Diavolo torna a vincere il tricolore

Milano - All'ultimo respiro. E forse è più giusto così, magari anche più bello. La festa più attesa dal popolo rossonero arriva al tramonto di un'afosa domenica di primavera, nell'ultima giornata di un folle campionato (quello del "ciapa no") con inseguimenti, scivoloni, sorpassi e controsorpassi. Sì, ora si può dire, il Milan è campione d'Italia, dopo undici anni di passione, di misteri, di sofferenza. Dove fragorose cadute si sono alternate a faticose ripartenze. Con coraggio, orgoglio, fiducia.

Un nuovo Milan

Non è il Milan della meravigliosa epopea di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, è vero, ma è comunque un Milan infinito, capace di ottenere un successo straordinario per gioco, entusiasmo e freschezza. Un Milan spinto fino alla fine da una tifoseria fantastica, che ha sfondato il muro delle milione di presenze a San Siro e che in massa ha seguito la squadra fino all'ultima tappa, quella decisiva in casa del Sassuolo. Ma lo scudetto non arriva per caso, perché è figlio di una seria programmazione del fondo Elliott e delle capacità dei dirigenti e dello staff tecnico, bravi e pazienti nel ripartire dalle macerie lasciate dalla sciagurata gestione di Yonghong Li, rifondando dalle fondamenta una squadra e restituendo valore e dignità alla storia del club. Se oggi il popolo rossonero, stufo di sentirsi ripetere a lungo che il Milan non poteva mai essere qualcosa in più di "una squadra rivelazione", può orgogliosamente sventolare  il bandierone col tricolore, è grazie al lavoro svolto soprattutto negli ultimi due anni a Milanello. Un impegno quotidiano, silenzioso, portato avanti in mezzo a scetticismo e diffidenza, purtroppo una consuetudine alle nostre latitudini.Sono stati anni difficili, con tante salite e meritate discese.

La svolta

Ma se c'è un momento chiave  della ricostruzione è quel 22 dicembre 2019, ovvero il punto più basso della storia più recente rossonera. In quel giorno a Bergamo si giocò Atalanta-Milan, terminato con la goleada nerazzurra. Nel pomeriggio più nefasto, segnarono Gomez, Pasalic, Muriel e un ispirato Ilicic, autore di due gol. Il MIlan non perse solo 5-0, precipitò al decimo posto, al pari del Torino e indietro al Parma, nel frattempo caduto in Serie B. Fu il momento della prima svolta, perché la Curva nella partita successiva mise un semplicissimo striscione per ricordare quanto accaduto ben consapevoli che dopo il tunnel c'è sempre la luce. E che dopo uno scivolone ci si può rialzare più forti. E da lì, infatti, nacque un altro Milan, se è vero che il lunedì mattina, Zvominir Boban (dimenticato troppo presto, ma che ha avuto ruolo non secondario in questa rinascita) chiamò Zlatan Ibrahimovic per chiedergli di tornare quanto prima a Milanello. Non tutti erano d'accordo, fra addetti ai lavori e "leoni da tastiera". Ma fu allora che di fatto si ribaltò tutto, perché Ibrahimovic è Ibrahimovic, e non a caso poche settimane dopo essere sbarcato a Milano disse che se fosse arrivato prima i rossoneri avrebbero già lottato per lo scudetto. Lo presero per matto. Gli dissero che era il solito spaccone. E invece la sua carica motivazionale, la sua ingombrante presenza nello spogliatoio, è stata la vera scossa per tutto il gruppo.

Il merito dei dirigenti

Ma c'è altro, ancora più importante, che spiega la rinascita del Diavolo: è stata la professionalità messa in campo sotto traccia dai dirigenti. Se Ivan Gazidis (anche durante la malattia che lo ha colpito un anno fa) ha continuato a svolgere il ruolo di amministratore delegato, esattamente come aveva fatto nei due lustri precedenti all'Arsenal, il cambio di passo decisivo c'è stato nell'area tecnica. Facile ora elogiare il "normalizzatore" Stefano Pioli,  ma ci sono stati dei momenti in cui le cose andavano diversamente. Per esempio nella primavera del 2020, nelle drammatiche settimane in cui il mondo era chiuso per pandemia, Il tecnico emiliano era già stato esonerato da parte dei "media" per far posto a Rangnick, il tedesco che aveva stupito tutti a Lipsia; e allo stesso tempo erano stati messi in discussione anche gli uomini-mercato Paolo Maldini e Ricky Massara, trattati con tenera compassione, ma giudicati inadeguati al ruolo.

La verità è che il lavoro sul campo ha dato ragione ai tre - Pioli, Maldini e Massara - e ha smentito gli altri. I dirigenti in questi anni hanno messo a segno colpi perfetti: da Ibrahimovic a Theo Hernandez, da Bennacer a Tonali, dalla coppia Tomori-Kalulu ai più esperti Giroud e Florenzi. E poi Maignan, che non ha fatto rimpiangere un certo Donnarumma. L'allenatore ha poi rilanciato Calabria, Kessie, Kjaer, soprattutto ha fatto maturare Leao, talento puro, determinante con gol e assist in tutta la stagione.

Oltre la sfortuna e le assenze

A Milanello non si sono neppure lamentati delle assenze, che sono state tante e prolungate (su tutte quella del danese Kjaer) a causa di continui infortuni. Pure sugli arbitri, fatta eccezione per alcuni sassolini che Pioli ha voluto togliersi di recente, sono stati tutti molto cauti. Perseguendo un unico obiettivo, anche quando la classifica sorrideva di più ai rivali, perché (ora si può dire) il Milan non si è mai sentito inferiore alle altre. Ma in campo e fuori si è sempre lavorato per migliorarsi. Il risultato si traduce nei numeri: non solo quelli della classifica, con un Milan "over 80" e più forte persino di "storiche gestioni", ma anche quelli relativi al bilancio. Le perdite nel 2021 sono di 96 milioni (praticamente dimezzate), l'indebitamento sceso a un terzo rispetto a Inter e Juventus. Questo grazie ad una oculata gestione finanziaria e ad un rigido controllo del monte-ingaggi.

Vero, si era disposti a fare un'eccezione per Donnarumma, ma quando il gigante di Castellammare, fino a quel momento il calciatore più prezioso della rosa e futuro campione d'Europa, cominciò a fare i capricci, Casa Milan decise di puntare su un'alternativa come Maignan. La stessa cosa è stata fatta per Calhanoglu, che ha preferito emigrare sull'altra sponda del Naviglio, e per il "Presidente" Kessie che si accaserà al Barcellona. Niente ricatti, solo gente motivata. E infatti lo scudetto non è soltanto una vittoria dal punto di vista tecnico,  ma soprattutto d'identità. Autonomia e scelte competenti. Così il Milan ha capovolto la sua storia e si prepara a dare l'assalto alla seconda stella. Un altro meraviglioso derby tutto milanese.

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