
Katia Ricciarelli
Milano, 18 ottobre 2015 - «Milano è la città dei miei esordi, dei miei successi e anche di qualche amarezza». Lo racconta il soprano Katia Ricciarelli.
Cominciamo dagli esordi? «Era il 1969, arrivai a Milano dopo aver vinto il concorso Aslico, per studiare la “Bohème” in cui debuttai lo stesso anno a Mantova. Milano mi è piaciuta immediatamente. Con mia madre prendemmo un appartamento al Lorenteggio. Cominciai a conoscere la città guardandola dai finestrini dei tram e degli autobus su cui mi muovevo. Passavo spesso per corso Buenos Aires e questo mi portò fortuna».
E’ la sua via preferita? «Sì. Quando ci sono capitata la prima volta mi sono ricordata di Renata Tebaldi che aveva raccontato di quando fu convocata alla Scala per essere ascoltata da Toscanini. Lei quella mattina decise di andare in Teatro a piedi e attraversò corso Buenos Aires. L’audizione andò benissimo e la Tebaldi fu subito ingaggiata. Andando alle prove di “Bohème”, passavo anche io per la stessa strada e sognavo i successi di Renata».
Il porta-fortuna ha funzionato? «Sì. Studiavo con impegno con il maestro Antonio Tonini e i risultati ci furono. La mia Mimì fu molto applaudita e mi si aprirono le porte dei teatri più importanti».
E quindi siamo ai successi. Ne ha raccolti molti a Milano? «Sì, in particolare nelle produzioni con Claudio Abbado alla Scala. Era meticoloso, difficile da accontentare, ma aveva un cuore enorme. Con lui ho lavorato molto. Aveva un gesto chiarissimo. Diretta da Abbado ho cantato al Piermarini, prendendomi grosse soddisfazioni, nel “Simon Boccanegra”, nel “Viaggio a Reims” e nel Requiem di Verdi. Ma ho anche inciso molti dischi con Claudio e l’Orchestra della Scala tra cui l’ “Aida”».
Ma a Milano lavoravate soltanto? «No, anzi mi sono divertita molto. Mi vengono in mente le partite a poker con José Carreras e Luciano Pavarotti. Lo venne a sapere Abbado e disse che voleva imparare anche lui. Lo invitammo, ma lui era un po’ tirato con i rilanci, ne faceva di sole mille lire: “Insomma Claudio - gli dicevamo - almeno cinquemila”. Ma non ne voleva sapere. Allora soprannominammo quel tipo di rilanci, “rilanci abbadiani”».
A Milano ha vissuto anche con José Carreras? «Sì, è stata il teatro del nostro amore. Ci eravamo conosciuti a Parma nei primi anni ’70, ma poi abbiamo vissuto a Milano per un certo periodo. Ricordo che i soldi erano pochi, ma avevamo deciso di farci la macchina, una di quelle che non passano inosservate. La scelta cadde su una Mercedes Pagoda 450 SLC bianca decapottabile. La comprammo a rate, 500 mila lire al mese. Ma spesso non avevamo i soldi per la benzina. Poi ce la rubarono in via Filodrammatici. E qui accadde uno degli episodi più buffi della mia vita».
Chiaramente ce lo racconta. «Qualche giorno dopo aver fatto con José la denuncia in questura, i carabinieri arrivarono in via Lorenteggio. In casa c’era mia madre. Loro mi cercavano insistentemente. L’auto era stata ritrovata in un garage ricollegabile a Renato Curcio e alla sua banda e pensavano che io fossi d’accordo con i terroristi perché l’auto era intestata a me, ma non risultava rubata dato che la denuncia non era stata trasmessa dalla polizia ai carabinieri».
Katia in versione “terrorista” è uno scoop! «Mia madre scoppiò a ridere davanti ai militari con i mitra. E loro di rimando dicevano che non era uno scherzo. Poi tutto si risolse quando mostrai la denuncia».
E ora passiamo al capitolo amarezze milanesi? «Sì, a malincuore. Penso alle contestazioni alla Scala. La prima giovanissima, nel 1973, quando cantai “Suor Angelica”. Ci ho impiegato 20 anni per ascoltare la registrazione, l’avessi fatto prima: sfido chiunque a trovare un soprano che a 27 anni, la mia età di allora, canta come feci io in quelle recite. Fui perfetta. Quei fischi furono un’ingiustizia. Mi accusavano di essere troppo giovane, mentre nel 1989 nella “Luisa Miller” ce l’avevano come me perché avevo sposato Pippo Baudo, creando la coppia “nazional-popolare”. Da allora ho deciso di girare al largo dalla Scala perché a teatro si può non applaudire - fa parte del gioco -ma non posso stare tra persone che si divertono ad essere crudeli».
E Milano cos’è ora per lei? «La città della mia famiglia perché ci vivono mia sorella Anna, suo marito Gianfranco, mio nipote Mirko, sua moglie e il loro bambino, Matteo». di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@gmail.com
Il Libro «Da donna a donna. La mia vita melodrammatica» (Piemme), scritto a quattro mani con Marco Carrozzo, è l’autobiografia di Katia prendendo spunto dalle eroine dell’opera.