
La Gialappa's band
Milano, 4 dicembre 2016 - Milano-Roma sola andata. In auto sono in due, ma è come se fossero in cinque. Stiamo parlando, appunto, di “Milano-Roma”, storico programma Rai scongelato nel microonde e servito caldo sul tavolo di Raidue ogni lunedì. A rianimare il caro estinto sono stati i tre della Gialappa’s. Voce fornita, per le risposte, da Marco Santin.
È stata un’idea vostra o della rete? «Già dodici anni fa avevamo pensato a un programma con il Mago Forest in auto che andava a prendere gli ospiti. Quando un anno e mezzo fa abbiamo proposto alla Rai una trasmissione che coinvolgeva un’auto, ci hanno detto che avevano ripreso i diritti di “Milano-Roma”. Ce l’hanno propsto e abbiamo accettato. Così abbiamo deciso di rifarlo».
Perché vi affascinava l’idea di ambientare un programma in una macchina? «Il tentativo è quello di cambiare le logiche dello studio». La cosa che non vi aspettavate? «La fatica. Non è una passeggiata. Il viaggio, tra soste e altro, dura almeno 10 ore, 14 nella puntata con Magalli perché c’è stato un incidente. Dieci ore ininterrotte in cui devi sempre essere reattivo. A volte non ti accorgi nemmeno di quello che ti sta intorno». Voi dove siete? «Nel pullmino argento che si vede spesso nelle inquadrature. Siamo proprio davanti alla macchina». Le coppie le avete scelte voi? «Accoppiare gli ospiti è stato più difficile che fare il cast del nostro film. Le riprese richiedono comunque un’intera giornata, in più l’ospite spesso deve tornare indietro, a Roma o Milano. Incastrare gli impegni di tutti a volte è impossibile. Volevamo la coppia Abatantuono-Tomba ma non ci siamo riusciti. Una coppia molto divertente sarebbe stata Carlo Conti-Isabella Ragonese, ma anche qui non ce l’abbiamo fatta. Ci è mancata la figura della giovane attrice emergente. Rimedieremo. Vi raccomando la puntata con Forest e Gregoraci, c’è da morire dal ridere e non solo per Forest». Cosa vi ha sorpreso, in positivo? «È un programma molto attuale, nonostante conti quasi venti anni. Si vede che era molto avanti per quei tempi». Avete nostalgia di “Mai dire gol”? «È una domanda che sui siti leggo almeno dieci volte al giorno. La risposta è: dipende. Se parliamo del primo “Mai dire gol”, fatto quasi solo di filmati, sì, ne abbiamo nostalgia ma oggi sarebbe impossibile ripeterlo. A quei tempi io andavo a Londra e compravo le cassette con le raccolte delle papere e dei lisci del campionato inglese. Alcune risalivano addirittura all’anno prima, ma non le aveva viste nessuno. Oggi sarebbe impossibile. Tutti vedono tutto in tempo reale. A volte alla domenica si parla di una partita giocata al venerdì, di cui ormai hai già visto infinite volte gli spunti più interessanti. Si vedono persino le amichevoli, mentre una volta si andava all’edicola il giorno dopo per comprare il giornale e sapere come era andata a finire. Per non parlare dei campionati inglese, tedesco, francese: una volta non li trasmetteva nessuno. Ma una volta il tifoso neppure si sarebbe sognato di poter guardare la propria squadra in diretta». “Quelli che il calcio” ha ancora un senso? «Col ritorno degli inviati negli stadi ne ha ancora di più. Non tutti si possono permettere la tv a pagamento. È uno show che permette di unire i familiari, anche le donne, di solito meno interessate al calcio. Quando Fazio ha cominciato, nel 1993, era proprio un altro mondo, oggi personaggi come la suor Paola o Idris non ci sono più».