Milano, dal lavoro di lavapiatti all'impero dei ristoranti: la vita di Giacomo Bulleri

La gavetta da lavapiatti, l'esperienza da chef, i vip e il successo. I 93 anni del fondatore dell'impero di Giacomo Milano

Giacomo Bulleri

Giacomo Bulleri

Milano, 25 febbraio 2018 - Jennifer Aniston, Pharrell Williams, Obama, i reali di Spagna, George Clooney, Maradona. La lista dei vip a cui ha cucinato continua: Henry Kissinger, John Malkovich e Brad Pitt, Bono Vox, i Duran Duran e Madonna. «Facciamo prima a dire chi non è passato in questo ristorante» taglia corto Giacomo Bulleri. A Milano è semplicemente Giacomo, l’uomo arrivato da Collodi, il paese toscano di Pinocchio: «Nessuna bugia, è tutto vero». Come l’età: 94 anni (a giugno) che non si vedono quando lo incontri ancora seduto a un tavolo del suo ristorante. O l’Ambrogino d’oro nel 2015, «un traguardo che mi ha dato Milano, la città che mi ha adottato». «Ma anch’ìo – aggiunge dopo una pausa – ho dato». Otto locali: tre ristoranti, un bar, una pasticceria, una rosticceria e una tabaccheria. Più il locale più recente a Pietrasanta in Toscana. L’impero costruito partendo dalla gavetta ha fatturato 13,5 milioni nel 2018: «Il segreto è ciò che accomuna tutto il gruppo, l’impegno da parte sia della famiglia che dei collaboratori e il rispetto per il cliente».

Il segreto è stato anche partire dalla gavetta?

«È servita: a 11 anni ero a Torino a fare il lavapiatti. Dopo pochi anni hanno iniziato a darmi un po’ di spazio in cucina, perché hanno capito che ero sveglio. La gavetta serve, ma serve anche l’indole: chi nasce falco non può diventare tacchino».

A Milano ha monopolizzato una via (via Sottocorno) con cinque attività. La chiameranno via Giacomo?

«Spesso si scherza, ma è una battuta. Non c’è questa intenzione».

Il successo anche economico del gruppo dice che la ricetta giusta è differenziare le attività?

«Non è stata una vera e propria strategia, ci hanno guidato le esigenze. Ad esempio, abbiamo aperto la rosticceria nel 2017 per accontentare la clientela più giovane, i “figli” dei clienti abituali di Da Giacomo e del Bistrot che hanno voglia di qualcosa di meno impegnativo ma di qualità».

Quale locale sente più suo?

«L’Arengario perché è stato un punto di arrivo essere in piazza Duomo: era il mio sogno».

Si arrabbia se chiamano trattoria il suo ristorante storico?

«No, perché il primo ristorante storico aperto nel 1958 in via Donizetti vicino alla Camera del Lavoro si chiamava Trattoria. Poi negli anni novanta ci siamo spostati lì vicino, in via Sottocorno, con il Ristorante Da Giacomo. LaTrattoria sono le radici del gruppo, il punto di partenza della mia storia».

Che chef era Giacomo? Alzava la voce con la sua brigata come si vede fare in tv nei programmi di cucina?

«Non ho mai perso le staffe, ho vissuto il lavoro con semplicità e serenità».

Niente “sì chef”?

«Mi chiamavano “il nonno”. Bastava un gioco di sguardi per farmi capire dai collaboratori».

Come si comportava con i vip?

«Innanzitutto non sapevo che arrivavano. Tranne poche volte, il resto era sempre una sorpresa».

Poi andava da loro in sala?

«Mi è capitato di incontrarli. Una sera c’era Madonna seduta al Bistrot. Mi sono presentato al suo tavolo e le ho detto “Te sei Madonna?” e lei ha detto “Sì. Piacere”. E io “Ciao io sono Giacomo Bulleri”. Finiva qui. Una volta, invece, Russel Crowe a fine cena è salito dietro al banco dell’Arengario e si è messo a preparare un cocktail per me e i parenti. La serata è finita …..la lascio immaginare eh eh».

Con tanti vip, non le è mai stato offerto di andare in tv?

«La sala e il ristorante sono il mio palcoscenico, la mia televisione. Il mio regno è la cucina, il mio pubblico sono i clienti».

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