
Da sinistra, l’ad Attilio Meoli e il presidente Giancarlo Meschi
Milano, 15 dicembre 2015 - La storia si arresta al 2001. Sul nuovo sito la rinata casa d’aste Finarte, che ha riaperto i battenti lo scorso marzo, si racconta dalla fondazione nel 1959 fino all’uscita di scena dello storico presidente, Casimiro Porro. Dopo, un buco fino al 2014, quando gli attuali soci hanno acquistato il marchio. Un silenzio tombale sugli anni della gestione Giorgio Corbelli, patron di Telemarket, e sul tracollo: il calo delle vendite, il fatturato dimezzato in quattro anni, la sospensione del titolo dal listino di piazza Affari, gli 11 milioni di euro di debito accumulato, il fallimento nel 2012 e la liquidazione coatta. Acqua passata, lasciano intendere negli uffici di via Brera 8, dove è ripartita l’attività di Finarte. L’amministratore delegato, d’altronde, è uomo della squadra di Porro: Attilio Meoli, infatti, era all’ufficio finanziario tra il 1984 e il 1997. Ha pedigree finanziario anche il presidente, Giancarlo Meschi, carriera in Eni e Fiat fino alla tolda di Apple Italia, così come il pool di dieci investitori che ha strappato alla concorrenza l’ok del curatore fallimentare all’acquisto del marchio Finarte. Tra questi c’è anche Diego Piacentini, il numero due di Amazon, colosso mondiale dell’e-commerce. «La spa ha un capitale sociale di 800mila euro – spiega Meoni – ma con un sovrapprezzo di 200mila euro. Inoltre, abbiamo emesso un prestito obbligazionario convertibile di 400mila euro, che ha una prima scadenza al 20 giugno 2017. Nel complesso, quindi, la capitalizzazione è di 1,4 milioni di euro».
Il primo round di vendite è andato in scena il mese scorso, il 10 e 11 novembre: prima i dipinti antichi e dell’Ottocento, poi arte e fotografia del Novecento e il contemporaneo, per un controvalore di circa 2,5 milioni di euro. «Abbiamo venduto circa il 60% del contemporaneo e del Novecento», spiega Meschi, tra cui la «Piazza d’Italia» di Giorgio De Chirico, «Un ovale bianco» di Turi Simeti, aggiudicato a 43.750 euro contro la stima tra i 18mila e i 22mila euro, e «Città di poeti in fase esplosiva» di Gianfranco Barucchello, valutato 20-25mila euro e chiuso a 40mila. Il calendario del 2016 non è ancora nero su bianco, ma «vogliamo essere presenti in entrambi i turni di vendita – osserva Meoni – sia primavera sia autunno». La strategia va in senso contrario a quella delle grandi case d’arte internazionali, Sotheby’s e Christie’s, che in un mercato gravato dalla burocrazia com’è quello italiano, hanno rarefatto gli appuntamenti, tagliato il numero di lotti e accentrato le vendite per i collezionisti del Belpaese a Londra. «Una delle nostre scommesse è riportare in Italia un mercato che dovrebbe essere nostro, considerato il patrimonio culturale – osserva Meschi –. Da circa 2-3 anni questo settore nel mondo genera un volume d’affari di 50-55 miliardi di dollari all’anno, ma l’Italia ha appena lo 0,6%». Assilla «l’attenzione, più percepita che reale, degli uffici finanziari sulle transazioni», osserva il presidente di Finarte, tanto quanto «una legislazione complicata», tra segnalazioni alla Siae, all’Agenzia delle entrate e alle soprintendenze.
La casa d’aste fa parte di un gruppo d’interessi, che riunisce anche mercanti d’arte ed esperti del settore per ritoccare le norme in materia. «L’obiettivo più immediato è raddoppiare da 50 a 100 anni l’età minima del pezzo per la notifica» da cui dipende la licenza di esportazione, osserva Meschi, limite che secondo gli esperti del settore oggi soffoca gli affari in Italia e fa la fortuna delle vendite oltre confine. Il braccio di ferro con il governo è in corso e l’esito più realistico è una mediazione a 70 anni, ma la partita è aperta. Nel frattempo Finarte sta studiando una strategia commerciale per tornare a essere «il primo operatore in Italia», ammette il presidente, con l’obiettivo di tornare a quotarsi sul listino di piazza Affari. Il piano passa anche da internet. «Siamo in dirittura d’arrivo con la piattaforma web», anticipa l’amministratore delegato. Sarà un canale per le vendite in rete ma anche per aste “a distanza” dalla sala di Milano e servirà per catturare nuovi collezionisti. Un segmento da alimentare attraverso il dipartimento di fotografia, con lotti meno cari e più semplici da piazzare in rete.
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