ANDREA GIANNI
Economia

Per gli ex disoccupati che trovano un nuovo lavoro “lo stipendio è inferiore o uguale al sussidio”: i dati della Cgil

Un’indagine pilota di Cgil Milano mostra come il rientro nel mondo dell’impresa non sia accettabile per un terzo degli intervistati. Le conseguenze delle paghe basse: ansia e nessun progetto di vita

Il corteo milanese dello sciopero generale indetto dai sindacati a novembre

Il corteo milanese dello sciopero generale indetto dai sindacati a novembre

Milano – La via d’uscita dal tunnel della disoccupazione è spesso un lavoro precario e sottopagato, con uno stipendio che per un milanese su tre è addirittura inferiore o simile alla Naspi, l’indennità di sostegno al reddito. Impieghi che nel 26% dei casi sono ottenuti tramite social e piattaforme digitali che mettono in contatto domanda e offerta di lavoro, in una totale disintermediazione che lascia il lavoratore indifeso nella giungla dei contratti. Solo l’1,24% è riuscito a ricollocarsi tramite il canale pubblico dei centri per l’impiego. Si conferma, inoltre, una “sofferenza delle persone in età matura”, con più di 50 anni, che restano senza lavoro.

Una fotografia emersa da un’indagine pilota della Cgil di Milano, che ha distribuito un articolato sondaggio tra 3.800 persone “in transizione occupazionale” seguite dallo sportello Politiche attive del sindacato. “Chi perde l’occupazione – spiega Valentina Cappelletti, segretaria della Cgil di Milano – resta esposto ai rischi legati a una domanda di lavoro malata, e di conseguenza allo sfruttamento. Le politiche pubbliche non riescono a risolvere il problema, e l’offerta di formazione adeguata alle esigenze reali è troppo scarsa”.

Tra le persone intervistate, meno del 30% ha trovato un nuovo lavoro a tempo indeterminato dopo la disoccupazione. Per la maggior parte del campione, il rientro nel mondo del lavoro è attraverso un contratto a termine. E in pochi si sono riconvertiti con un lavoro autonomo, nonostante gli incentivi. Calano le tutele contrattuali, e calano anche i salari. Per il 37-40% lo stipendio del nuovo rapporto di lavoro è “inferiore rispetto a quello precedente”. Per il 17-23% è addirittura inferiore rispetto all’indennità di disoccupazione, mentre per il 16-19% è uguale alla Naspi. “Se il valore di un’indennità compete con il salario – ragiona Rocco Dipinto, del dipartimento Politiche del lavoro della Cgil – la responsabilità non può certo ricadere sull’indennità, che ha la funzione di protezione dallo stato di povertà. Il problema, piuttosto, è quello di salari troppo bassi”.

Per oltre la metà del campione, quindi, la nuova situazione occupazionale non consente di fare progetti di vita. Si creano problemi di ansia, stress, sensazione di impotenza e di una situazione che sfugge al controllo. I tre aspetti più importanti di un posto di lavoro ideale sono stabilità, stipendio e distanza da casa. La politica, secondo la maggior parte degli intervistati, dovrebbe dare la priorità a salario minimo e sanità. “Dalla pandemia abbiamo assistito a un’esplosione dei contratti in somministrazione – ragiona Claudia Di Stefano, segretaria generale Nidil Cgil di Milano – con una sostituzione dei dipendenti diretti anche in multinazionali con bilanci floridi. Un terzo di queste forme contrattuali precarie si concentra in Lombardia. E nell’85% dei controlli a campione nelle aziende abbiamo riscontrato che non viene rispettata la parità di trattamento prevista dalla legge”.