
Uto Ughi eseguirà brani dal nuovo Cd “Note d’Europa”
Milano, 27 maggio 2018 - Uto, nome breve e bizzarro. Uto Ughi, tra i più grandi violinisti dei nostri giorni, lo tiene da un originale nonno, appassionato studioso dell’antica Roma, che pretese imporre a figli e nipoti nomi come Caius, Ursus… A lui toccò Brutus, da cui Uto. «Per fortuna – dice il maestro - al battesimo fu richiesto un nome cattolico e così mi chiamo anche Deodato». Uto (Deodato) Ughi (Busto Arsizio 1944), accompagnato al pianoforte da Andrea Bacchetti, suona all’Auditorium domani alle 21 nella grande serata organizzata da BNL-BNP e dall’associazione Arturo Toscanini di Savigliano a favore di Telethon per la cura delle malattie genetiche rare.
Il programma del concerto è brillante. Con quali criteri è stato composto?
«Comprende le pagine più belle del repertorio violinistico delle sette Nazioni Europee, alle quali ho dedicato il mio ultimo Cd della Sony “Note d’Europa”».
C’è un pezzo che lei predilige?
«Come diceva Rubinstein, prediligo quello che sto suonando. Vale anche lo stato d’animo in cui mi trovo».
Qual è il brano in programma che esige prova di maggiore virtuosismo?
«La “ridda dei folletti”, famoso “scherzo fantastico” di Bazzini, violinista dell’800 ammirato da Paganini. Visse a lungo all’estero. Tornato in Italia insegnò al Conservatorio di Milano e ne divenne direttore. Tra i suoi allievi ebbe Catalani e Puccini. Quanto ai virtuosismi in programma, anche lo Scherzo di Wieniawski, non… scherza».
Lombardo di nascita, lei è veneziano di adozione. Ha anche fondato il festival “Omaggio a Venezia” , chiamando grandi artisti a suonare senza compenso per promuovere il restauro di monumenti. Cosa pensa ora delle Grandi Navi?
«Sono un pericolo, oltre che una bruttura, enorme. Venezia è una città fragile, magica. Sembra vivere tra le quinte di un teatro. Basta nulla a distruggere il suo equilibrio. Ma quando ci sono di mezzo tanti soldi…».
Lei proviene da una famiglia di musicisti. A sette anni già si esibiva in pubblico. Essere così precoci comporta rischi?
«Spesso prima dei vent’anni gli “enfant prodige”si bruciano. Io a dieci anni sono andato a Parigi a studiare con George Enescu, il mio primo grande maestro. Poi a Ginevra dove mi sono diplomato a 15 anni. Poi in Inghilterra. Credo che il meglio di sé un musicista lo dia dopo i 40 anni».
Adesso, compiuti i settant’anni, si sente arrivato all’apice della sua carriera?
«Io non mi sento proprio niente...».