Roberto Farnesi: “Il mio commendatore cinico? Un po’ Gordon Gekko di Wall Street”

L’attore è fra i protagonisti della soap Rai “Il Paradiso delle Signore”, nel ruolo del cattivo Umberto Guarnieri: “Milano? La vestirei con un abito comodo e sportivo, perché è una città dove si lavora e corre tanto”

Roberto Farnesi

Roberto Farnesi

Milano, 25 aprile 2024 – Ne “Il Paradiso delle Signore” , in onda il pomeriggio su Rai 1, Roberto Farnesi è il cinico commendatore Umberto Guarnieri, il cattivo della soap, che riscuote, però, simpatia. E l’attore, pronto alla battuta, grato dell’affetto e dei consensi del suo pubblico, ritiene doveroso ringraziarlo.

Come si è calato nei panni del suo personaggio?

"Ormai è la mia seconda pelle. Non vivo nel mondo dell’alta finanza, ma da 12 anni ho dato vita a un ristorante, che annovera 24 dipendenti e 250 coperti al giorno. Quindi, non è stato così complicato interpretarlo, con l’aiuto anche dei racconti dei miei genitori, relativi al periodo del boom economico degli anni ’60".

Quindi?

"Servendomi anche dell’immaginazione, sono riuscito a tirar fuori il “cattivo” della situazione, che sembra avere un certo fascino. Ho tratto l’immagine e la spietatezza un po’ dalla figura di Gordon Gekko, interpretato da Michael Douglas, in Wall Street. Nel caso del mio personaggio, responsabile di migliaia di posti di lavoro, ritengo che sia giustificata una certa dose di cinismo e freddezza, che non deve essere, però, debordante".

Cosa non gli invidia?

"La sua situazione familiare e i tanti scontri. L’unico suo punto fermo è l’amore incondizionato verso la figlia. Io ho una bella famiglia e, visti i tempi che corrono ed il mio personale trascorso, la situazione è positiva. Gli invidio, però, i soldi, che, se non rendono felici, sono di aiuto".

Ha tratto qualche insegnamento dal suo personaggio?

"È abbastanza riflessivo. Al contrario, io sono sempre stato troppo impulsivo, ma ora Guarnieri mi ha migliorato".

Nella soap si ripercorre la storia della moda. Cosa ne pensa del suo revival?

"Tutto è un po’ ciclico, la moda in particolar modo; il revival è frutto di gradimento da parte del pubblico, forse di qualche nostalgico o delle nuove generazioni. Mi sembra un’ottima operazione di marketing riproporre un po’ l’usato sicuro, a distanza di molti anni".

È un grande attore. Questo sognava di diventare da bambino?

"Ho sempre amato gli animali. Volevo fare il veterinario, ma non avevo molta voglia di studiare. Diventare attore era un’utopia. A differenza di oggi, in passato era molto più difficile giungere dinanzi alla porta principale. Poi…"

Com’era?

"Piuttosto irrequieto, scappavo spesso. Sono stato “gentilmente” allontanato da tre scuole. Sono cresciuto più in strada. Mio padre, generale di Divisione, a differenza di quello che si possa pensare era una persona tollerante, molto aperta mentalmente e con un grande senso dell’ironia; un uomo straordinario, con cui ho avuto un rapporto molto intenso. L’ho perso presto…"

Il suo punto di partenza: i fotoromanzi. Quanto ha influito l’aspetto fisico?

"È stato importante per sbarcare il lunario. I fotoromanzi mi hanno consentito di frequentare la scuola di cinema a Firenze, che mi ha fornito la carta d’accesso per diventare attore: la mia prima esperienza in ‘Femmina’, accanto a Monica Guerritore, con la regìa di Giuseppe Ferlito, un po’ il mio mentore, poi un ruolo con Franco Zeffirelli... e tanta tv. Ricorda ‘Turbo’ con Anna Valle? Una sorta di Commissario Rex all’italiana. Poi l’incontro con Daniele Carnacina, a cui devo tanto".

Che rapporto ha con il suo corpo?

"Sono vanitoso, ma non ho con il fisico un rapporto maniacale. Per il mio lavoro, però, servono anche tecnica, istintività, esperienza ed un certo talento innato. È un mestiere non semplice, il ‘re’ dei lavori precari".

E con il passare del tempo?

"È pessimo per la perdita di persone care, per il cambiamento, anche fisico; non per i capelli bianchi, che hanno generato fortuna a divi americani. Sono nostalgico e ricordare il passato mi crea una certa malinconia. E, poi, inevitabilmente si avvicina l’appuntamento a cui nessuno mai si è potuto sottrarre…"

A 52 anni è diventato padre. Il gap generazionale potrà influire sul rapporto con sua figlia?

"Ho vissuto con il mito di mio padre, che mi ha avuto a 56 anni. Ero l’ultimo, dopo tre sorelle. Avendo partecipato a due guerre, era andato in pensione presto, così me lo potei godere. Cercherò di regalare a Mia il tempo e una qualità di percorso di vita e le trasmetterò l’onestà e la lealtà, valori basilari. La paternità, da più adulti, regala una seconda giovinezza, ma anche ansia e paura per i figli".

Ha abitato a Milano. Differenze con quella di oggi?

"La famosa Milano da bere aveva un grande fascino e una fucina di attori comici straordinari. Dopo un periodo un po’ buio, è ritornata prepotentemente alla ribalta, diventando la nuova City".

L’abito con cui vestirebbe la città?

"Comodo, sportivo, elegante, perché a Milano si lavora e si corre tanto".

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