
Milno – Una guerriglia asistematica . Così Germano Celant definiva l’arte povera nei giorni caldi in cui il movimento artistico trovava una sua collocazione. Anche internazionale. Sottolineando fin da subito la natura mutevole (aperta) di questa esperienza. E lo spirito profondamente antagonista (politico) che ne caratterizzerà il gesto, pur nella sua pluralità. D’altronde si era alla fine degli Anni Sessanta, le tensioni crescevano trasversali nella società. E l’Italia si scopriva un cantiere inquieto di creatività e contestazioni.
Tracce dell’epoca si trovano oggi un po’ ovunque, compresa una preziosa sezione nel Museo del Novecento. Ma certo incuriosisce la specificità del taglio teorico proposta da Triennale con "Reversing the Eye", fino al 3 settembre ad indagare "fotografia, film e video negli anni dell’arte povera", a cura di Quentin Bajac, Diane Dufour, Giuliano Sergio e Lorenza Bravetta.
La singolarità dello sguardo è già evidente nella proposta dei materiali, quando l’avanguardia è sempre stata molto più legata alle forme installative e performative. Ma la scelta permette di ampliare l’analisi, innestando un ramificato confronto con il periodo storico e le dinamiche proprie della comunicazione.
"In questo nuovo corso Triennale ha intrapreso un progetto di ricerca per approfondire l’evoluzione dei media – ha dichiarato Bravetta – e le loro possibili contaminazioni con le nuove tecnologie, con altre discipline e forme di espressione artistica. Con “Reversing the Eye“ testimoniamo il dialogo tra arte e fotografia che ha liberato i media da una funzione di mera documentazione, anticipando l’iconosfera nella quale oggi ci troviamo".
L’iconocità dello sguardo, dunque. Ma anche la prossimità con l’orizzonte concettuale. O il tentativo di unire arte e vita, che segnò fortemente il movimento. In mostra 250 opere di 49 artisti fra cui Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone, Giulio Paolini, oltre alle fotografie di Elisabetta Catalano, Mario Cresci, Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Ugo Mulas. Quattro le sezioni: corpo, esperienza, immagine e teatro (non a caso: il nome proviene dalle poetiche per il palco di Jerzy Grotowski). Ed è un po’ come se si riproponesse l’avanguardia ai tempi della sua riproducibilità tecnica, come direbbe Benjamin. Ad accogliere, gli scatti di Giuseppe Penone per la sequenza "Rovesciare i propri occhi". Sintesi perfetta della convivenza fra forza estetica e tensione teorica.