Nino D’Angelo a Milano con Il poeta che non sa parlare, “ma arrivo al cuore cantando l’amore”

L’ex ragazzo col caschetto porta agli Arcimboldi un viaggio tra le sue canzoni

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<p>Nino D&#39;Angelo</p>

Milano, 3 marzo 2023 – “È cagnato ‘o tiempo , è cagnata ‘a vita, è cagnata ‘a musica…” canta Nino D’Angelo in “Voglio parlà sulo d’ammore” l’ultima delle tessere musicali con cui lunedì prossimo ricompone sul palco degli Arcimboldi il mosaico di una vita. La sua. Dopo aver festeggiato sullo stesso palco quarant’anni di musica, l’ex ragazzo col caschetto riporta alla Bicocca “Il poeta che non sa parlare”, il viaggio tra le sue canzoni iniziato con un libro e poi proseguito con un disco e un tour. “Ma il tempo ha cambiato pure Milano” assicura lui, classe 1957.

“Un tempo in città c’era Radio Antenna Emigrante, dove ero uno degli artisti più trasmessi, mentre oggi se alzi gli occhi vedi i grattacieli di City Life, simbolo di una capitale europea proiettata verso il futuro. Mio figlio Toni vive a Roma e fa il regista, mentre l’altro, Vincenzo, sta a Lodi e scrive sulla Gazzetta dello Sport, quindi, passo abbastanza tempo al Nord per rendermi conto che oggi tutto molto più mischiato di un tempo”.

“Il poeta che non sa parlare” s’è rivelato un progetto di successo. "Gli stati d’animo sono importanti nell’arte. Oggi che faccio n’ata musica rispetto a quella degli esordi, mi accorgo che il pubblico è cresciuto assieme me".

Da cosa nasce questa immagine a cui ha legato autobiografia e disco? "La professoressa da bambino mi diceva: sei un poeta che non sa parlare, ma riesce ad arrivare al cuore pur esprimendosi male. Come dice il titolo dell’altra autobiografia, scritta ormai più di vent’anni fa, sono un ignorante intelligente, valore importante che non puoi fare tuo sui banchi di scuola. Ma un’istruzione di base dovrebbero averla tutti e invece non è sempre così".

“Senza giacca e cravatta accussì so’ venuto…”. "Io vengo dalla diseguaglianza, sono il frutto di quelli che non contano; povera gente che s’è unita e mi ha regalato questa vita. Quando parlo, quindi, lo faccio per loro. Finché ci saranno i poveri, gli ultimi, il nostro compito di artisti sarà quello di raccontarli al mondo. Diseguaglianza è una parola bruttissima. E in questo il senso di comunità è ancora importante".

Lei dice che il Nino del caschetto, quello effigiato nel quartiere di Napoli in cui è nato, San Pietro a Patierno, pure da un murale di Jorit, ha risolto tutti i suoi problemi. E il Nino venuto dopo? “Ha dato una risposta a quelli che antepongono il pregiudizio a tutto il resto. Oggi che scrivo cose come ‘‘O schiavo e ‘o rre’ o ‘‘A terra nera’ non sono più schiavo delle programmazioni radiofoniche, ma piuttosto un artista libero che non ha più bisogno di ragionare le cose a tavolino per piacere ai ragazzi come faceva il Nino del caschetto. Da nonno i baci sulla spiaggia magari non li posso più dare, ma posso raccontarli a figli e nipoti per spiegare loro cos’è l’amore".

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