
Museo del novecento
Milano, 24 febbraio 2019 - Una nuova narrazione del secolo breve, “Novecento: Nuovi Percorsi”. Ospitato dentro il Palazzo dell’Arengario di matrice fascista e un po’ anche dentro Palazzo Reale, il milanese Museo del Novecento si prepara a festeggiare (nel 2020) il decimo compleanno risistemando il suo patrimonio:
Quasi mille metri quadrati di nuovi itinerari, 56 gli artisti e 122 le opere integrate. Alcune riemergono da cantine e magazzini (un misterioso deposito si trova anche fuori Milano). Altre sono state acquisite attraverso comodati e generose donazioni più o meno recenti. Come quella che vale un museo nel museo, ovvero i 42 pezzi dello scultore Marino Marini: ritratti di amici e colleghi (anche Chagall e Stravinsky) e di mercanti e di belle borghesi, oltre a ballerine e bagnanti e giocolieri, regalati nel tempo da lui e dalla moglie. E ora tutti spostati più su, appena sotto il magico belvedere (con il neon di Fontana), riambientati da Italo Rota tra oblò e finestre affacciate sul Duomo, a rimarcare lo stretto rapporto con la città dell’autore toscano arrivato qui nel ’29, e a lungo insegnante a Brera: «Sempre più importante - fa notare l’assessore Del Corno - diventa il valore simbolico del Museo del Novecento, che dialoga costantemente con tutte le istituzioni culturali». Marini scomparve nel 1980. E agli anni Ottanta si ferma la rilettura museografica del XX secolo. Che, d’accordo, non può correggere l’assetto (o carattere) un po’ labirintico del palazzo. Ma tra intrecci di stanze e stanzette e corridoi riserva non poche sorprese, grazie anche all’altra prestigiosa donazione Bertolini, ricca di mille opere.
Arrivata nel 2015, permette significativi confronti con artisti internazionali. Vedi il décollage da espositori stradali del nostrano Rotella accanto alla divina “Marilyn” di Warhol nella sala dedicata a pop e new dada. Ripulite per l’occasione persino le camere d’aria di biciclette su cavalletto, metafora della crisi del quadro, proposta da Carol Rama nel 1970. Finché ritorna il nuovo bisogno di racconto: per finire, ecco il “Muro” dove Alighiero Boetti incornicia dal ’72 al ’93 opere sue e di amici e frammenti anche di giornale, in un montaggio per niente disordinato.