Milano e gli anni ‘70: movimenti, ribellione e trame. Cosa può insegnare ai giovani d’oggi

Massimiliano Carocci, scrittore e professore di liceo, racconta un periodo di grandi fermento e cambiamenti nel suo “Arcadia”

Una manifestazione del movimento studentesco a Milano nel 1973

Una manifestazione del movimento studentesco a Milano nel 1973

Il piombo delle pallottole. Il sangue delle sprangate. Il fumo dei lacrimogeni. I rumori delle fabbriche. Echi di una Milano e di un’Italia sparite nei fatti, ma eterne ritornanti anche nella contemporaneità, fra misteri mai chiariti (ufficialmente, almeno) e nodi politici irrisolti. Massimiliano Carocci, 43 anni, professore di Storia e Filosofia al liceo classico Tito Livio di Milano, milanese e milanista, è in libreria con “Arcadia”, secondo volume della sua trilogia sull’Italia nel dopoguerra e il rapporto fra gli Usa e il nostro Paese.

Per promuoverlo su YouTube c’è un teaser con ospite speciale l’attore Paolo Rossi. Prossima presentazione in carne e ossa martedì 18 aprile alla libreria Les Mots (via Carmagnola angolo via Pepe, ore 18.30).

Cosa è rimasto di quella Milano che racconta nel libro?

“L’esperienza di chi l’ha vissuta e delle persone che ho ascoltato per scrivere questo libro. E probabilmente un certo modo di intendere le relazioni e la vita che però le nuove generazioni, milanesi e non, hanno ormai dimenticato”.

Cosa intende?

“I movimenti di cui parlo in ‘Arcadia’ sono stati il frutto di un certo modo di vivere la vita, in particolare a Milano, che di quei fermenti è stata il fulcro. A Milano, e di conseguenza in Italia, il ’68 ha avuto sviluppi atipici rispetto alle altre nazioni europee. Innanzitutto è durato molto di più, quasi 10 anni. E poi si è assistito alla saldatura fra il movimento operaio e quello studentesco: da questa condivisione è nato l’esperimento più estremo, la lotta armata”.

Che memoria c’è nei milanesi di quel periodo?

“In chi l’ha vissuto, per esempio mio padre che frequentò la Statale dal ’69 al ’73, quelle esperienze e quelle battaglie sono entrate nelle vene e hanno anche cementato abitudini. Per esempio quando si devono sedere in un locale difficilmente danno le spalle all’ingresso. In alcuni di loro c’è una componente di nostalgia, perché il terrorismo intervenne a proibire il sogno di una vita e di un’Italia diverse. In altri prevale la rimozione, per gli errori commessi ma anche perché ricordare una sconfitta spesso non è piacevole”.

E in chi non l’ha vissuta?

“Molti sono vittima di un errore prospettico, frutto di una narrazione comune e superficiale per cui si appiattisce la storia di quegli anni sulla formula degli ‘anni di piombo’. Così facendo si dimenticano i successi ottenuti negli anni ’70 sul fronte dei diritti civili e dei lavoratori. Per questo ho voluto anche raccontare l’aspetto costruttivo di quel momento”.

Lo scrittore Massimiliano Carocci durante una presentazione del suo libro (Omaggio)
Lo scrittore Massimiliano Carocci durante una presentazione del suo libro (Omaggio)

Colori e odori della Milano di allora sono una presenza molto forte nella narrazione. Oggi ci sono ancora o sono del tutto spariti?

“L’ho fatto per descrivere nella maniera più vivida possibile ambienti e paesaggi di allora, dal grigiore delle fabbriche – per esempio la Tonolli di piazzale Maciachini dove lavorò mio padre – al rosso prevalente nelle manifestazioni, ma anche replicare le emozioni dei personaggi che agiscono in scena. Credo che oggi i call center siano quello che erano le fabbriche allora e che il precariato sia una condizione dell’anima. Periferie e disagio, seppur mutati, esistono ancora, quindi quei colori e quegli odori sono ancora presenti. Poi starà ad altri racconti sulla città definirli e indagarli”.

Cosa potrebbe insegnare ai giovani il suo libro?

“Ho cercato di trasmettere l’idea di non concepire i fatti di cui parlo come eventi separati, ma come un ‘unicum’ che dia il senso collettivo di quello che voleva essere l’obiettivo finale, il colpo di Stato o il congelamento dello status quo. Credo che questo libro possa rendere commestibile un periodo i cui avvenimenti, per questioni di tempo e di difficoltà degli argomenti, spesso sfuggono ai ragazzi delle scuole superiori ma anche ai più grandi”.

È un fenomeno che osserva anche nel suo ruolo di docente?

“Purtroppo le conoscenze dei giovani sono molto confuse o distorte. È capitato di passare con loro da piazza Fontana e sentirmi dire ‘Qui è dove le Brigate Rosse hanno messo la bomba’. Eppure è fondamentale comprendere bene la storia d’Italia del ‘900 post seconda guerra mondiale. Le contraddizioni di allora restano irrisolte. Se non si comprende questo nodo, non si può comprendere il quotidiano”.

Nei ragazzi di oggi vede qualcosa di Jackie, il giovane protagonista di Arcadia?

“Molto poco. Manca soprattutto pensare alla politica come mezzo di interpretazione della realtà. In alcuni c’è un tentativo di porsi in maniera costruttiva per affrontare problemi pratici e oggettivi, ma l’approccio novecentesco è del tutto sfumato. Fa piacere vedere liceali e giovani universitari alle presentazione del libro: vuol dire che c’è l’intenzione di provare a capire anni che difficilmente vengono trattati a scuole. Ed è possibile che qualcuno di loro s’interessi a questi temi osservando i tentativi di stravolgere e forzare la memoria storica del periodo di cui parlo. Ma le differenze rispetto ai giovani degli anni ’70 restano enormi”.

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