Mario Biondi: "Ho avuto più tempo per i figli ma il palcoscenico mi manca"

L'artista da oggi nei negozi con il nuovo album 'Dare': "Una parola che è il mio mantra"

Mario Biondi

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Milano, 29 gennaio 2021 - "Mi piacerebbe cantare ancora una volta con Bacharach", ammette Mario Biondi, 50 anni proprio ieri "anche se Burt è arrivato alla veneranda età di 92 anni, sarebbe bello averlo accanto per festeggiare assieme il ritorno degli Arcimboldi alla musica". Se i sogni son desideri quelli del soulman catanese, da oggi nei negozi col nuovo album “Dare”, volano oltre il buio di questo inverno senza applausi alimentando la speranza che il tanto agognato concerto del 16 marzo alla Bicocca si possa fare. Difficilissimo che accada ma, soprattutto di questi tempi, sperare non costa nulla.

"Il futuro del live è una bella incognita e ieri il tweet del ministro Franceschini ha addensato ulteriori nubi all’orizzonte, ma la situazione pandemica è quel che è. Certo, stare completamente fermo mi ha regalato più tempo per stare con la famiglia e i miei nove figli, ma un po’ mi ha anche arrugginito e quindi non vedo l’ora di riprendere", spiega Biondi. "Nel settore della musica dal vivo, però, al momento ci sono problemi ben più gravi di questo. Anche se, al di là di quel che si dice in giro, un po’ di sostegno dallo Stato, dall’Imaie, dalla Siae, quelli che lavorano con me l’hanno avuto. Non era una cosa scontata né tantomeno relegabile al piccolo gesto".

Che concerto vorrebbe per il suo ritorno a Milano? "Penso che quando riapriranno i teatri il pubblico avrà una gran voglia di festeggiare, per questo intenderei privilegiare il repertorio ‘happy’ evitando le ballad. E in questo ‘Dare’ mi aiuta molto". Il titolo del disco ha una doppia lettura perché “dare” in inglese significa “osare”. "Ho trovato un una grande sincronia fra i due significati perché ‘dare’ è al tempo stesso un atto di generosità e di forza. Ci vuole, infatti, tanto coraggio nel dare, perché non è sempre scontato come sarà recepito il tuo contributo. Nella mia vita penso di aver fatto della parola ‘dare’ una specie di mantra, una sorta di modus vivendi”. Sente la responsabilità di mettere le mani su standard eterni come la “Strangers in the night” inserita nell’album? "Tantissimo. Soprattutto se l’operazione serve a portarli lontano dalla versione di Frank Sinatra come in questo caso. Vero che qualcosa del genere l’aveva già fatta James Brown, che però ne fece una versione ‘black’ che solo lui avrebbe potuto cantare. Io nella mia sono stato un po’ più alle regole". Nel disco lei passa da Eddie Jefferson (“Jeaninne” con Highfive Quintet di Fabrizio Bosso) a Herbie Hancock (“Cantaloupe Island”), agli Incognito, a cose con Dodi Battaglia (“Simili”) e Il Volo (“Crederò” di Gianni Bella). "Penso che la musica non debba avere marchi né timbri jazz, soul, funk, blues, pop o rock, ma debba essere solo bella". Ma come si conciliano queste tante anime. "L’idea iniziale era di fare 4 dischi. Poi, invece, abbiamo preferito accorpare tutto".  

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