DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Luca Bizzarri e la voglia di (tribuna) politica: “Oggi troppi tifosi e nessun confronto”

Al Carcano ne “Il medico dei maiali“: una farsa sul Potere, “che si mette benissimo in ridicolo da solo”. Dalle minacce di Lilin alle polemiche sull’ultimo spettacolo: “La verità è che sono figlio di un rompiscatole”

Luca Bizzarri, 53 anni, in scena con Mauro Marino, 66, ne “Il medico dei maiali“

Luca Bizzarri, 53 anni, in scena con Mauro Marino, 66, ne “Il medico dei maiali“

Milano – God save the king! O forse no? Che a vedere sul palco quello scemotto dell’erede al trono, viene più che altro il desiderio di smantellare la monarchia e tanti saluti. Come prova a fare “Il medico dei maiali“, veterinario che si ritrova (suo malgrado) al centro delle vicende britanniche. In una notte di morte e di successione. Lavoro curioso quello di Davide Sacco, da stasera a domenica al Carcano. Una farsa sul Potere. Con protagonista Luca Bizzarri. Che torna al teatro in mezzo alla tv, ai podcast mattutini, alle polemiche che si trascinano dietro. Con lui in scena Francesco Montanari, fresco del Riccardo III al Piccolo. E poi ancora David Sebasti, Mauro Marino e Luigi Cosimelli.

Bizzarri, si torna a ridere del Potere?

“Qualcosa del genere, cosa che per altro al Potere riesce benissimo già da solo, specie in questo periodo. Ma sul palco prendiamo in giro anche il contropotere, quel certo velleitarismo di chi si oppone mostrando una stessa credenza fanatica. D’altronde viviamo nell’epoca della morte del dibattito, della radicalizzazione delle idee”.

Mi sa che sono fischiate le orecchie a sinistra.

“Possibile ma non saprei a chi, nel senso che non so chi sia rimasto da quella parte”.

Non le piacciono le tifoserie?

“Diciamo che ho perso la voglia di fare il tifo, persino per il mio Genoa. Non mi scaldo, forse è una questione di maturità, alla fine è arrivata. Credo poi che la morte della politica sia proprio lo scontro fra tifoserie. Tanto che ho iniziato a rimpiangere quei bei dibattiti di una volta, i lunghi e barbosi confronti negli anni ’70. Li avremo presi in giro un milione di volte, pensavamo che ci rovinassero la vita. E invece”.

Le vecchie tribune politiche.

“Proprie quelle. Dove però percepivi un confronto vero sulle idee, a volte persino la volontà di mettersi in gioco. Senza contare il linguaggio che usavano, il lessico. Ora assistiamo a idee basiche che si combattono a suon di vaffanculo. Tutti pieni di certezze, non so come facciano”.

Preferisce il dubbio?

“Preferisco studiare, cercare di capire, non giudicare. Ci sono poi macrotemi su cui io non riesco proprio ad avere le idee chiare e di solito la penso come l’ultimo che ha parlato. Ma questa sospensione non viene accettata, manda ai matti in un orizzonte di mitomanie”.

Come gestisce gli hater?

“Niente acido allo stomaco. Anzi. A volte rispondo, mi domando cosa ci sia nella loro testa che li spinga in tutti i modi a farmi presente che non gli piaccio. È la categoria di cui parla Ricky Gervais: quelli che non vogliono la lezione di chitarra. Ma perché? Sono molto incuriosito dall’imbecillità”.

Qualcuno esagera: dopo un suo intervento con Paolo su La7, lo scrittore Nicolai Lilin ha affermato che avrebbe voluto “sfondarvi il cranio”.

“Abbiamo pensato a lungo se denunciarlo o meno. Ma in realtà la cosa che più mi ha fatto impressione di quella storia è che nessun politico ha mostrato solidarietà nei nostri confronti, né in pubblico né in privato. Come se perfino in quel momento ci volesse chissà quale forza o coraggio. L’episodio ci ha spinto anche a interrogarci sul nostro lavoro, perché non capisci bene. Ma quando stai così sulle balle, credo voglia dire che hai fatto quello che andava fatto”.

Come si trova a teatro?

“È dove sono nato, la prima casa e il primo mestiere, mi mancava. Poi ho scelto in fretta altre cose, la mia famiglia non navigava nell’oro e a teatro mi pagavano pochissimo. In tv prendevo dieci volte tanto. Ma ora la mia vita è cambiata e posso rimettermi in gioco, scegliendo di fare le cose che mi piace fare. Il teatro è un posto dove sto fisicamente bene. In questo caso anche grazie alla generosità di Francesco Montanari, attore che ogni sera mi sfida e mi ricorda la bellezza di questo mestiere”.

A febbraio ha sorpreso tutti confessando di non aver fatto in tempo a scrivere il nuovo spettacolo.

“Sono stato ingenuo. Non era una tournée, avevo due date a Genova in anteprima per poi girare con lo spettacolo in autunno. Visto il successo del primo “Non hanno un amico“ pensavo a Natale di scrivere il secondo, per poi provarlo a inizio anno. Ma il risultato della pausa natalizia non è stato quello previsto”.

E quindi ha scritto a chi aveva comprato il biglietto.

“Ma sì, non volevo prendere per il culo nessuno inventandomi una febbre sotto data. Ho preferito comunicarlo io agli spettatori invitandoli per ottobre. Apriti cielo! Per alcuni sono diventato un santo, per altri un odioso truffatore, perché avrei venduto dei biglietti per uno spettacolo inesistente. Le stagioni teatrali funzionano così ma la gente parla senza sapere nulla. Io abolirei il diritto di parola”.

Lo spirito critico proviene dalla famiglia?

“Sì ma senza romanticismi o lotte di classe. La verità è che sono figlio di un cagacazzi. Punto. Mio padre era carabiniere, parlava troppo perfino sul lavoro, prendendosi qualche richiamo disciplinare. Ora è vecchio e gli è passata la voglia. Ma da giovane era capace di discussioni interminabili dove non mollava di mezza virgola. E non era il classico mugugno genovese. Lui era emiliano, si muoveva in un costante stato di critica al mondo e alla società”.

Quindi una questione di dna.

“Puro cagacazzismo paterno”.