ALESSIA SIRONI
Cultura e Spettacoli

"Andiamo a salvare il mondo". Parola di Giovanni Soldini, la leggenda del milanese sull’oceano

L’impegno quotidiano su una barca spinta solo dall’energia del Sole e del vento. In un docufilm la costante volontà di dare voce agli scienziati di tutto il mondo e l’orgoglio dell’autonomia

Una suggestiva immagine di Giovanni Soldini al timone sull'oceano

Milano – Domande e risposte, al ritmo delle onde e delle risacche del mare. Alla fine, dalle acque emerge Giovanni Soldini, il campione e l’uomo. Da un lato Soldini lo sportivo che da quarant’anni solca oceani su una barca a vela e che con i suoi traguardi alimenta la passione per la disciplina. Dall’altro Giovanni, consapevole delle criticità del suo tempo, dall’esistenza di leggi contrarie a quelle antichissime del mare, dei devastanti effetti dell’inquinamento e della scarsa attenzione che la politica presta agli scienziati. Tra i suoi record non si contano solo primati nella navigazione, anche i progetti a tutela dell’ambiente come il docufilm del suo “diario di bordo” (al cinema nel 2024) e la piattaforma “Around the blue” con materiali divulgativi prodotti da biologi di tutto il mondo.

Com’è nata la passione per la vela in una città senza mare?

"Da bambino ho mosso i miei “primi passi” sul lago. Poi ho incontrato la famiglia Malingri, grandi navigatori, a 16 anni ho cominciato a occuparmi di barche a vela più grandi, ne ho persino costruita una, poi il mare".

Sognava una meta più di altre?

"No, io avevo chiaro che volevo viaggiare e mi sembrava che la barca a vela fosse il modo migliore per farlo, perché soddisfaceva la mia volontà di indipendenza e libertà".

Cosa ama del viaggio in barca a vela?

"Il senso di libertà. La barca è un piccolo mondo autonomo, ti porta in posti lontanissimi e non inquina. Va con la forza del vento". Tanto che oggi naviga con la trimarano Maserati Multi70 con l’energia di Sole e vento.

Quali sono le avventure in mare che ricorda più volentieri?

"I due giri del mondo che ho fatto in solitario (tra il 1994 e il ’95, poi nel ’98). Poi la Transat Québec-Saint-Malo. O alcuni record, tengo molto a quello della New York-San Francisco. L’equipaggio e io abbiamo seguito la Rotta dell’oro (questo il nome storico, ndr ) in 47 giorni, 42 minuti e 29 secondi. Un’esperienza molto interessante. Ma ce ne sono tante a bordo della Maserati, ricordo volentieri anche quelle del 2018 quando abbiamo vinto la Rolex Middle Sea Race (inizia e finisce a Malta, circumnaviga la Sicilia) e la RORC Transatlantic Race (da Lanzarote ai Caraibi), ma anche il record Hong Kong-Londra, la Rotta del Tè".

Prima di una gara recita un mantra o compie un rito scaramantico?

"No, guardo il meteo"

Qual è stato il miglior momento vissuto in gara? E quello in cui ha avuto più paura?

"Difficile fare una classifica, perché ne ho vissuti tanti. I momenti migliori in genere sono gli arrivi, quando raggiungi una vittoria. Uno potrebbe essere la New York-San Francisco, nel 2013, la competizione che ho sempre sognato. Ma i momenti di paura sono stati tantissimi, penso che la paura sia una buona compagna di vita perché ti fa capire che stai raggiungendo il tuo limite o quello della barca...".

Ha vissuto l’esperienza del naufragio due volte.

"Sono momenti così veloci, nei quali agisci subito. Succedono imprevisti, la barca si capotta e tu fai quello che devi fare, senza pensare troppo alla paura".

Cosa ha imparato dai due naufragi?

"Purtroppo il naufrago è in una posizione “scomoda”: è guardato con sospetto, soprattutto in alcuni Paesi con precise leggi anti-immigrazione. Quando nel 2005 sono naufragato per la seconda volta, sono stato salvato da una petroliera diretta negli Stati Uniti. Una volta vicino agli States, ho avuto difficoltà a scendere a terra. Ho mostrato passaporto, visto, carte di credito e, dopo dieci giorni, ce l’ho fatta. Nel 1991 probabilmente le leggi erano differenti perché ero in mare, mi sono trovato in difficoltà e una portacontainer tedesca mi ha portato negli Usa senza alcuna difficoltà".

Cosa pensa del dibattito europeo sulle migrazioni in mare?

"Penso che vengano portati in mare problemi che riguardano la terra. Non salvare le persone in mare e in difficoltà è un modo schifoso di gestire i flussi migratori. Non è guardando dall’altra parte e lasciando affogare la gente che si risolve la situazione. Si può dire che i Paesi sviluppati hanno messo in atto norme che minano la legge del mare. Una legge impressa nella nostra cultura da migliaia di anni secondo la quale se qualcuno è in difficoltà, lo si aiuta. In Italia se salvi qualcuno dal mare e lo porti sulla terra, devi dimostrare di non essere uno scafista altrimenti non puoi attraccare. Non sta né in cielo né in terra".

Cosa ricorda del salvataggio della velista e amica Isabelle Autissier durante il giro del mondo in solitaria Around the World, nel 1999?

"Ricordo la grande paura di non trovarla. È stato difficile, la sua barca si era ribaltata e le difficili condizioni meteo non hanno aiutato. Una volta trovata, ho provato una grande gioia".

Qual è stato il cambiamento più grande avvenuto nella sua disciplina dall’esordio a oggi?

"La tecnologia ha cambiato il nostro modo di vivere e anche di navigare. Dalla comunicazione agli strumenti di localizzazione come il Gps. Trent’anni fa si comunicava col radiotrasmettitore (radiotrasmittente e radioricevente, ndr ), oggi c’è Internet a bordo che permette di trovare le informazioni utili in tempo reale e il Gps consente a chiunque di individuare la propria posizione in mare. Trent’anni fa nessuno pensava alle conseguenze dell’inquinamento dei mari, oggi c’è più attenzione. E vedendo le conseguenze…"

Quando ha capito che il mondo è vicino al collasso?

"Negli anni ’90 si sono visti i primi fenomeni strani. È difficile dirlo basandosi su studi metereologici perché si riferiscono a una media e trattandosi di fenomeni naturali, di per sé incostanti, questa sarebbe imprecisa. In

quegli anni non ricordo di aver visto conseguenze del cambiamento di temperatura degli oceani, ma nell’ultimo decennio sì: le barriere coralline hanno perso le forme di vita che le abitavano e si sono sbiancate, in molti punti del mondo dai Caraibi all’Australia".

Come influisce il “climate change“ sulla navigazione?

"Influisce sul meteo, quindi sulla navigazione. Negli ultimi anni nel Mediterraneo ci sono stati temporali tropicali e onde alte, questo rende difficile e pericolosa la navigazione. Succede che da un’ora all’altra cambia il tempo e si scatena l’inferno. E’ avvenuto lo scorso anno, il 18 agosto, quando in Corsica sono state rovesciate quaranta barche. Ma gli esempi sono tanti. Il nubifragio dell’Emilia-Romagna è dovuto al cambiamento climatico. Ma il problema è lo stravolgimento della vita e della natura, non gli effetti che ha sui viaggi in mare..."

Se avesse 16 anni oggi sceglierebbe la stessa carriera?

"Sì, cercherei il modo per intraprenderla perché mi è piaciuta".

Sulla terra ha malinconia del mare?

"No, io sto bene dappertutto, ma ammetto che ogni tanto mi manca navigare".

Sente mai il peso della solitudine in mare? Senza dispositivi tecnologici. Come resta in contatto con i suoi familiari?

"Oggi i dispositivi ci sono e mi tengo in contatto come gli altri. Un tempo – ride – mi ritrovavo a chiacchierare con un radioamatore che più volte mi ha aiutato".

Qual è il suo libro preferito?

"Amo molto Corto Maltese!".

Qualcuno in famiglia seguirà le sue orme? Figli, nipoti.

"Mio nipote Matteo è nell’equipaggio di Maserati Multi70 e naviga con me. Oltre ad essere velista è precursore della produzione di pannelli solari per barche a vela. Amo molto la natura e l’uomo ne fa parte, ma se non cambia il suo comportamento rischia di soccombere. Così ho voluto una barca con i pannelli solari. Ho incontrato un fisico, Marco Bianucci, che li studiava e insieme abbiamo messo a punto un pannello leggero e flessibile adatto alla barca. Grazie al sostegno di alcuni imprenditori abbiamo fondato un’azienda, a Torino, che li produce, la Solbian. All’inizio è stato difficile, negli ultimi anni va bene".

Un altro progetto a cui sta lavorando è il docufilm sul suo viaggio nei mari del mondo e alla raccolta di materiale informativo sul loro stato di salute. Qual è l’obiettivo?

"Dare voce agli scienziati. Loro conoscono il cambiamento climatico e le sue cause quindi possono aiutarci ad affrontare la crisi. Abbiamo prodotto questo materiale multimediale per raggiungere più persone possibili così che possano consultarlo e acquisire consapevolezza del problema. Bisogna partire dalla consapevolezza del singolo, ma non basta: le istituzioni devono ascoltare gli scienziati, le loro proposte e coordinarsi per intervenire".