Gianna Nannini: "Il mio disco d’amore. Ma non sdolcinato"

L'artista racconta il suo nuovo lavoro “La differenza”. "Voglio abbattere i muri mentali con i sentimenti"

Gianna Nannini

Gianna Nannini

Milano, 13 novembre 2019 - Si contano sulle dita di una mano, probabilmente, i grandi artisti italiani riusciti nell’impresa di azzeccare grandi hit nel corso di tutta la carriera sganciandosi da quel fatidico “primo decennio” in cui per tanti arde ancora il sacro fuoco della propria arte. Considerazione non trascurabile davanti al repertorio di una come Gianna Nannini, riuscita a scriverne a scrivere veri e propri “classici” in tutti i quarant’anni tondi tondi che ci separano da “America”. Basta mettere sul piatto del giradischi (sì, del giradischi come accaduto ieri alla presentazione milanese del nuovo album) la sua variegata discografia, infatti, per trovare canzoni come “Bello e impossibile”, “Profumo” o “Fotoromanza” negli anni Ottanta, “Meravigliosa Creatura” e “Radio Baccano” nei Novanta, “Aria” e “Sei nell’anima” nei Duemila, “Ogni tanto” e “Fenomenale” nei Duemiladieci. L’ultimo tassello di questo mosaico è il nuovo album “La differenza”, sul mercato da venerdì con dieci brani “che bruciano di un fuoco puro e antico, ma suonati in epoca digitale”. Registrato a Nashville, nei Blackbird Studio di John McBride, il disco omaggia quelle che Gianna da Siena considera le sue radici rock-blues. «Ho sempre avuto un sangue bianco-nero, così sono ripartita da lì», assicura. «Abbiamo inciso queste nuove canzoni come se, invece di stare in studio, ci trovassimo su un palco, buona la prima o al limite la seconda… neppure i Foo Fighters fanno album così».

A cosa si deve questo cambio di rotta? «L’incidente al ginocchio di un anno fa mi ha cambiata. Banalmente ho dovuto cantare da seduta. Questo tipo di dimensione mi ha aiutata a riscoprirmi e a riaprire un capitolo rimasto in sospeso ai tempi di “California”. D’altronde un tempo il produttore Conny Plank mi ricordava sempre che ogni paese ha il suo blues, basta che lo si faccia, che lo si produca che lo si alimenti, nella propria cultura di appartenenza».

“La differenza” è un disco d’amore? «Sì, ma non amore sdolcinato, piuttosto d’amore incazzato. Da europea ho la fortuna di avere una visione, quindi non mi soffermo sul dettaglio della relazione amorosa, ma guardo all’insieme. Caduto a Berlino il muro di mattoni, infatti, abbiamo iniziato ad innalzare muri mentali che voglio abbattere. E l’arma per farlo sono i sentimenti. Ci vuole il brivido».

Ha registrato nel Tennessee, ma le canzoni sono nate a Londra, con la complicità di Pacifico, Dave Stewart, Mauro Paoluzzi, Fabio Pianigiani. «Sì, nello studiolo che mi sono ricavata a Gloucester Road per lavorare, sfuggendo alle continue interruzioni di mia figlia Penelope. Poi, grazie ad un contatto di Stewart, ho deciso di volare a Nashville, che non è solo la capitale della musica country ma, fin dagli anni Quaranta, il vero crocevia di blues, r&b, jazz e gospel nel Mid-South».

Il 30 maggio, l’attende il “Franchi” di Firenze. «Anche per l’approccio, portare questo disco in uno stadio rappresenta una bella sfida. Ma a Firenze posso parlare toscano e quindi mi sento a casa. Oltre alla mia band, avrò al fianco il batterista Simon Phillips (Toto, Who, Jeff Beck, Mick Jagger... nda) e il bassista degli Incognito. Phillips, che ho avuto in studio ai tempi di “Radio Baccano” m’ha detto che ho una voce erotica, quindi suonarci assieme sarà una specie di atto sessuale sul palco».

Venerdì esce pure un disco-tributo a Francesco Guccini con tanti bei nomi della canzone, ma non il suo. «Ci sarò nel secondo volume (sul mercato a primavera - nda), perché con Francesco abbiamo già registrato “Quello che non”. Guccini è il più rock dei nostri cantautori e credo che la mia versione di “Dio è morto” stia lì a ribadirlo”.  

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