ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Depeche Mode a San Siro con il cuore rivolto a Flecht: “Il palco è il posto migliore per ricordarlo”

La band inglese stasera a Milano per un concerto evento sold out, l’emozione di Dave Gahan: “Di Andy ci manca l’ironia e la voglia di scherzare”

I Depeche Mode: Martin Gore e Dave Gahan

I Depeche Mode: Martin Gore e Dave Gahan

Milano – È una “black celebration” ancora più “black” delle precedenti quella che i Depeche Mode portano domani tra gli spalti in deliquio di San Siro. E non solo per il titolo un filino sinistro dell’ultimo album “Memento mori”. Almeno dal vivo, infatti, per Dave Gahan e Martin Gore il vuoto lasciato dall’improvviso addio di Andy Fletcher, terza anima dell’epopea di “Personal Jesus” ghermita dal destino lo scorso anno per una dissezione aortica, rimane difficile da colmare. E questo nonostante la presenza sul palco pure degli irrinunciabili Peter Gordeno alle tastiere e Christian Eigner alla batteria.

Esaurito da mesi, il tour dei Depeche Mode approda a Milano contestualmente all’apertura delle prevendite (oggi alle 10 per i registrati al programma MyLiveNation e da domani alle 11 per tutti gli altri) per le due repliche indoor al Forum di Assago appena aggiunte al calendario, il 28 e 30 marzo 2024.

È stato duro ripartire lo scorso marzo da Sacramento?

"Io e Martin abbiamo ripreso la strada nella certezza che Andy avrebbe voluto così", racconta Ghahan, all’anagrafe David Callcott, 61 anni, 40 dei quali spesi tra trionfi, cadute, droga, deliri, tentati suicidi, morti e resurrezioni (nel senso letterale del termine se è vero che il cuore in vita sua gli si è fermato due volte). "Andy ha sempre rappresentato il collante della band, quindi è impensabile che potesse esserne proprio lui la causa dello scioglimento. Durante il lockdown avevamo lavorato tutti e tre al nuovo disco, che al momento della sua scomparsa era già praticamente impostato e titolato".

Cosa vi manca più di “Fletch”?

"La voglia e il piacere di scherzare. Quell’ironia che, quando era fra noi, davo quasi per scontata e di cui invece ora sentiamo enormemente l’assenza. Ora per me e per Martin il miglior modo di onorarlo è solo quello di chinare la testa e salire su quel palco cercando di dare il meglio che si può".

Ma avete riflettuto sull’opportunità di chiamare il disco “ricordati che devi morire”?

“Come le ho detto, quel titolo era già stabilito. Ovvio che, dopo quanto successo, suoni un po’ lugubre, ma vorrei che quella locuzione latina venisse interpretata in modo positivo dandogli il valore di un’altra popolare espressione quale ‘carpe diem’, ovvero cogli ogni attimo della tua vita perché del doman non v’è certezza".

Che differenza c’è tra il cantare con i Depeche Mode e altre band in cui milita?

"Martin non mi dice mai come interpretare un pezzo dei Depeche Mode, mentre con Rich Machin e Ian Glover dei Soulsavers, ad esempio, le cose vanno diversamente. Penso che se non ci fossero certe esperienze ‘parallele’ pure il lavoro con i Depeche ne risentirebbe, perché sono di quelli che hanno bisogno di buttarsi in acqua, di rischiare tutto, per trovare gli stimoli necessari a fare al meglio il proprio lavoro".

Mentre finivate di lavorare ‘Memento mori’ qui a Milano prendeva fuoco il palazzo di via Quintiliano in cui si trovavano quei Logic Studios in cui avete inciso un album leggendario quale “Violator”.

"È stato terribile. Ricordo ancora il divertimento di quelle registrazioni e le giornate passate con l’ingegnere del suono Pino ‘Pinaxa’ Pischetola".

A proposito, stavolta al banco regia c’è la bresciana Marta Salogni.

"Avevamo già lavorato proficuamente ad ‘Imposter’, il terzo album dei Soulsavers. Così, quando per una fortunata serie di coincidenze il produttore di ‘Memento mori’ James Ford è riuscito a coinvolgere Marta pure in questo nuovo lavoro, non mi sono certo opposto".

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