L'INIZIATIVA / Parole e pensieri ai tempi del coronavirus: "Casa"

Il regista e attore teatrale Finazzer Flory invita i lettori de Il Giorno.it a "raccontarsi al tempo del virus"

Il drammaturgo, regista e attore Massimiliano Finazzer Flory

Il drammaturgo, regista e attore Massimiliano Finazzer Flory

Milano, 16 marzo 2020 - Una parola al giorno per trenta giorni, un mese di riflessioni e pensieri che andranno a costruire una "letteratura del ricordo". È l’invito che Massimiliano Finazzer Flory, regista e attore teatrale, lancia ai lettori in collaborazione con Il Giorno. Il drammaturgo propone una parola di stretta attualità legata al Covid-19, invitando i lettori a scrivere un breve pensiero (600-700 battute) in merito. Le riflessioni, da inviare all’indirizzo mail redazione.internet@ilgiorno.net, saranno pubblicate online e contribuiranno a costruire una memoria collettiva di com’erano la Lombardia e l’Italia ai tempi del coronavirus, accanto ai contributi che di giorno in giorno manderanno alcuni personaggi della cultura e dello spettacolo.

La parola odierna è CASA. Fino ad ora hanno scritto per noi: Andrea Bocelli, Gianni Canova, Edoardo Boncinelli, Silvano Petrosino, Maria Rita Parsi, Dan Peterson, Dori Ghezzi.

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In momenti come questi poesia è cura. Ne La casa natale, Yves Bonnefoy scrive: « [...]Come mantenere/Udibile la speranza nel tumulto,/Come fare in modo che invecchiare sia rinascere,/Che la casa s’apra, dall’interno,/Che non sia soltanto la morte a spingere/Fuori colui che chiedeva un luogo natale?». Casa è dove si nasce, dove ci si sveglia per la prima volta alla luce del mondo (per me fu un mattino, «un metro sottoterra», in via Pola a La Spezia). Gli fa eco ne Il Balcone Baudelaire, che evocando «il fascino delle sere» spera albali «soli ringiovaniti» che riemergano da notturni «mari oscuri». Siano mari o mali, è da quel seno della casa che è il balcone che oggi si levano canti e ringraziamenti per chi si dona agli altri sfidando la morte. In una mia poesia su Genova li chiamo «abbracci di finestre».

Fabio Scotto, poeta

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Mai come in questo tempo di crisi sanitaria, di impotenza, la casa diventa il luogo di benessere fisico, un rifugio sicuro, che ci conforta. Non più solo pied-à-terre, da vivere nelle ore notturne dopo la giornata trascorsa negli uffici, negli incontri sociali, nelle cene, negli aperitivi. La scansione della giornata nelle sue varie funzioni non è più cosi definita. La convivenza ci obbliga a riti collettivi forzatamente condivisi. Le abitudini sono stravolte. Parliamo di casa come luogo di smart working, ma non proprio così smart, perché le tecnologie funzionano perfettamente sul luogo di lavoro e meno a casa. Si tratta di trovare le positività nell’emergenza e di rafforzare il tessuto familiare, coscienti per una volta che non possiamo controllare la realtà in tutti i suoi aspetti. Allora la casa è vissuta come luogo di confort e gli arredi, gli oggetti, i documenti, gli strumenti digitali, ben visibili, ordinati, a portata di mano per trasformarla temporaneamente da casa in Home-Office o luogo di incontro virtuale in video conferenze. Scriveva Mario Praz che “la casa è lo specchio dell’anima”, un ritratto tridimensionale, uno spazio che rappresenta noi che la viviamo. Oggi più che mai ci piace ricordare questa idea di casa come di qualcosa che va al di là di una semplice ‘unità abitativa’ (secondo la dizione di una superata cultura funzionalista), ma che diventa uno spazio legato al nostro vivere, alla nostra personalità e alla nostra storia, che i tanti oggetti che la popolano stanno a testimoniare, nel tempo. Allora in questi giorni di ombra e di responsabilità, pensiamo allo spazio che accoglie la nostra quotidianità secondo quella specifica destinazione d’uso ricordata dal detto popolare che tutti conosciamo: “casa dolce casa”.

Gilda Bojardi

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"La grande ospitalità".  Che cos’è la casa? Oggi, chiusi nelle nostre camerette, ci accorgiamo di colpo che non possiamo chiamare “casa” solo lo spazio del privato abitare, ma che la città che gli sta intorno ne è parte fondamentale…e ci manca moltissimo. La casa certamente protegge, virtù che ormai diamo per scontata, ma le sue qualità principali si giocano tutte nella capacità di farsi teatro di accoglienza e ospitalità, prima di tutto di noi stessi, e ponte di connessione col mondo esterno. Per arrivare a ciò i nostri sempre più ristretti metri quadrati dello stare si nutrono e si completano nella città circostante, nelle sue vie, nelle sue piazze, nei suoi parchi . Una città che è sempre più percepita come “casa collettiva”, dove gli spazi verdi diventano il nostro giardino, dove i servizi offrono spesso un’accoglienza sensibile alle nostre necessità e i luoghi di incontro diventano il nostro salotto sociale …. E non appena, presto, potremo tornare a ritrovarci insieme nella nostra casa collettiva, la guarderemo certamente con più gioia, cura e maggiore rispetto. Da architetto mi sento di dire la città come casa collettiva è il vero tema della città sostenibile di domani.

Ico Migliore, Architetto, Professore al Politecnico di Milano

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Casa. Segna i confini dell’io secondo la psicoanalisi, è la nostra patria individuale, uno specchio: il luogo dove il nostro essere si incastra al meglio con se stesso. Non si conosce una persona senza vederne la casa. Nelle lingue scandinave esiste un’espressione che allude alla felicità o comunque a qualcosa che le assomiglia molto e richiama lo stare a casa comodi, al caldo in tutti i sensi, svestiti, bevendo qualcosa di buono. Per i popoli del sud la casa idealmente è grande, aperta all’ospite che arriva. Per me, nomade, la casa è il punto di riferimento dove tornare per ripartire, ristorarsi, depositare la propria tracce e i ricordi. E’ la sicurezza raccolta in piccoli oggetti ma soprattutto nei libri e nelle foto che raccontano il viaggio degli anni. E’ la custodia del passato, la mia memoria perché il mondo è fuori, era fuori. Ora è l’unica consistenza del presente.

Ilaria Guidantoni, giornalista e scrittrice del Mediterraneo

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Ho costruito con le mie mani soltanto una casa e ne sono orgoglioso: è una casa su un albero, un larice, in mezzo ad un bosco di castagni vicino alla campagna che mio nonno ci ha lasciato. È molto piccola e interamente costruita in legno. Si trova a circa tre metri dal terreno e per entrarci serve una lunga scala verde. Al suo interno non c'è proprio nulla, solo un pavimento sul quale potersi sdraiare, leggere e pensare. Da un piccolo buco rotondo è possibile osservare il mondo. È l'unico luogo al mondo in cui non ho paura della solitudine. Sarebbe bello poterci andare in questi primi giorni di primavera, ma sono chiuso in un'altra casa.

Edoardo Zanon

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"Dalle terrazze delle case". Il silenzio inquietante della città è stato rotto da voci e da suoni che d’improvviso, mossi da un istinto liberatorio, hanno aperto un dialogo tra le case. Abbiamo riscoperto lo spazio esterno delle nostre abitazioni: balconi, logge, terrazze e terrazzini. Attraverso di loro le case si sono proiettate fuori. Un fuori qualsiasi, purché affacciato sulla vita, alla ricerca di una comunità di vicinato cui non s’era prestata grande attenzione: condomini, dirimpettai, ma anche residenti di edifici distanti, ma raggiungibili con un richiamo a voce alta. Abbiamo bisogno di rompere il silenzio, la solitudine, di sentire che fuori c’è qualcuno che come noi resiste, ha voglia di parlare, di vincere. Ci si chiama, ci si presenta, gli sconosciuti diventano persone, cominciamo a riconoscerle; per loro ci vestiamo a punto come per far visita. Per loro ci esibiamo, alcuni, e sono tanti, cantano, suonano, propongono cori, confronti canori. Canzoni dimenticate risuonano da un palazzo all’altro, da una terrazza all’altra. E chi non ha la terrazza? Si affacci alla finestra, oppure vada sul terrazzo condominiale e partecipi alla formazione di questa esperienza corale. La città sta scoprendo un paesaggio sonoro che già ora allude a una città diversa più amica e solidale.

Rosario Pavia

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"La mia atipica vita ai tempi del coronavirus". Casa lavoro, lavoro casa... la solita strada di tutti i giorni tra le verdi colline Vinciane... di colpo tutto si fermò... i decreti emisero la loro sentenza... tutti a casa... l'incubo italiano iniziò. Stranamente io venni catapultato in una vita surreale e forse egoisticamente forzata... Con l'assenza del lavoro, vivendo tra le piccole mura di una casa in campagna, la mia prigione, la mia casa, divenne proprio la campagna. Passavo quegli atipici giorni, per molti italiani, facendomi delle grandi passeggiate in solitaria, in compagnia del sole primaverile, tra valli fiorite e boschi verdi e pieni di animali. Ma alla sera, rientrando tra le mie mura, accendevo il televisore e le atroci news mi facevano stare male per tutti gli italiani sofferenti. Avrei desiderato tanto poter dare un po' di quelle naturali sensazioni della mia giornata ai medici, infermieri ed assistenti sanitari... avrei voluto trasmettere quegli immensi spazi vissuti nelle valli a tutti coloro che erano imprigionati tra le proprie mura di casa nelle città... ma soprattutto avrei voluto donare quella pura ed essenziale aria che respiravo in quelle solari giornate nella natura a tutti gli intubati ed alle persone messe in quarantena di quei giorni. Ma tutto ciò non era possibile ed allora continuavo a fare le mie camminate in solitaria, pregando e cercando di trasmettere quelle mie sensazioni a tutti i sofferenti d'Italia... chissà se a qualcuno tutto questo è arrivato. Questa è stata la mia solitaria ed egoistica vita forzata ai tempi del corona virus.

Alberto Marconcini Vinci (FI)

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Ho sempre immaginato la mia casa come un parallelepipedo, invece oggi ho capito che è una sfera. Anzi, un geoide. Una bizzarra definizione che ben pochi conoscono, pur avendola calcalta sin dai primi passi della loro umana esistenza … curiosa amnesia! Inscrivere un quadrato in un cerchio, plasmare un cerchio all’interno di un quadrato. Inserire una morbida sfera dentro un rigido parallelepipedo, fare sì che le curve di una meravigliosa attempata sfera permeino le severe prospettive di un parallelepipedo. Il mio gioco di Dio Uomo sta tutto in questo complesso rompicapo, il cui premio null’altro è che la semplice sopravvivenza di entrambe i gusci della chiocciola.

Stefano Boldorini

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Thunk”. “Thunk”. “Thunk”. Riprendo e rilancio la pallina contro il muro. “Thunk”. Il suono provocato dall’impatto di essa contro il muro è monotono, sempre la stessa forza, sempre la stessa tonalita, insomma, il classico suono di una pallina da tennis contro un muro bianco sporco. La casa è silenziosa, sento solo la voce distante di qualche giornalista alla televisione e quel suono che, sorprendentemente, non ha ancora iniziato a darmi sui nervi. Riprendo la pallina al volo, piego il polso verso il pavimento, abbasso il gomito alzando alzando l’avambraccio, sposto indietro il braccio usando un movimento della spalla fino quasi a toccarmela con la mano, poi allineo la mano sulla stessa diagonale del gomito e tiro. “Thunk”. Cosa se il muro provasse emozioni? Lo so che può sembrare sciocco, ma infondo alcune persone passano le loro intere vite nella stessa casa. E se la casa assorbisse le nostre emozioni e sensazioni? Se queste mura si ricordassero di quando scrissi il mio primo tema, di quando feci i biscotti alla cannella e la tirai dappertutto, di quando vidi per la prima volta la neve, del raffreddore che mi venne, subito dopo essere uscita senza il cappotto dalla felicità. Si ricorderà tra un paio di anni come, in questo periodo, odora di gel igenizzante ed alcool etilico? Si ricorderà dell’eco di canzoni intonate dai balconi di tutto il vicinato? Di queste settimane di quarantena e di videolezioni? Magari percepiamo la nostra casa come un luogo così caro e confortante perchè la casa è piena di ricordi, nella sua intima essenza. Queste mura come delle spugne hanno assorbito, con gli anni, tutti gli eventi che sono accaduti qui. Loro ricordano più di quanto noi possiamo e mai potremmo. Loro hanno visto le nostre sciagure, le nostre gioie, i momenti di debolezza e di estasi. Loro hanno memorizzato tutti gli odori, invitanti o ripugnanti, che li hanno attraversati. La casa è viva, vive dei nostri ricordi. “Thunk”, riprendo la pallina al volo....magari dovrei smetterla, continuando così rovinerò il muro.

Ilaria Massi

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Un giorno la Natura si fece coraggio, diede a tutti un gran messaggio: Fermatevi voi che correte soltanto, non siete immortali voi che inseguite i vostri denari! La gente delle sue parole non si curava e niente rispettava,anche la sua voce iniziava a tremare, restate a casa si sentiva gridare. I medici in corsia chiedevano aiuto per ricordare a tutti il tempo perduto, gli ammalati continuavano a morire e la gente soffrire ma tutti ancora chiedevano di uscire. Era arrivato il tempo di fermarsi e anche il governo iniziò a capire, restate a casa continuò a ribadire. Le città dovevano essere blindate e gli spostamenti controllati, ora il silenzio le città dovevano patire per far sì che si possa “guarire”. La Lombardia e l’Italia si doveva fermare, per sconfiggere questo strano male. Iniziarono a mancare gli abbracci, i saluti, noi che quei gesti li avevamo perduti. Sì, proprio un bacio volevamo offrire e con coraggio un sorriso per chi non poteva più dormire. Le mascherine diventarono moda, ci facevano sentire protetti ma i nostri occhi erano deserti. Dicevano che fosse arrivata la guerra, c’erano i nostri eroi in corsia, le forze armate e i governatori a combatterla. In fondo a noi altri avevano chiesto poco, restate a casa è questo il vostro moto. Era una guerra silenziosa che guardava dalle finestre ogni cosa. La nostra guerra la combattiamo da soli, amici e parenti lontani anche se presenti, ognuno fa la sua parte restando a casa. Lo chiamavano distanziamento sociale, ma l’Italia con coraggio continuava a cantare. E quando tutto sarà finito un messaggio credo lo abbiamo capito: un bacio, un abbraccio, un sorriso o una stretta di mano sono i poteri che Dio ci ha donato. E’ questa la forza della Natura anche se il mondo ora continua ad aver paura.

Roberta Amato

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Casa tetto tenda caverna rifugio riferimento famiglia e torno/resto a casa mia e chi la casa non ce l’ha?  Casa dolce calda accogliente contenitore di ricordi di libri di vestiti di cibo dormire pensare studiare e dipingere progettare scrivere un tempio la mia casa e tranquillo costruisco il mio essere interiore  e chi la tranquillità non ce l’ha? O virus sei di casa in questa storia surreale che invisibile nella paura tutto regoli e disponi di me di noi identificati svelati scopriti verso l’umanità e ti vinceremo e diventerò più saggio e buono.

Giorgio Piccaia, artista

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LA MIA CASA

Mi accogli

con le tue finestre

spalancate sul mondo.

 

Mi culli

 con la tua penombra

luce filtrata

da lamine di tende.

 

Mi rassicuri

con l'armonia e il nitore

delle cose usate

amate e curate.

 

Mi rallegri

quando dal balcone

spazio lo sguardo

su maestosi pini.

 

E mi conforta

la tua stabilità

l'essere stata culla

di un passato

 

ancora di salvezza 

di un presente

che nel bene e nel male

abbiam vissuto insieme.

Pinuccia Nervi ( Salotto Letterario- Lodi)

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