FABRIZIO PONCIROLI
Cultura e Spettacoli

Claudio Santamaria fa il matto: “La follia è dentro ognuno di noi. Pensiamoci prima di giudicare”

L’attore è nel super cast del film di Dario D’Ambrosi, fondatore del Teatro Patologico. “Chi soffre di una malattia spesso dimostra di essere più libero dei cosiddetti ’normali’”

FOTO FILM CLAUDIO SANTAMARIA

Claudio Santamaria

Milano – “Io sono un po’ matto... e tu?”. Questo è il titolo del film scritto e diretto da Dario D’ambrosi, fondatore del Teatro Patologico, al cinema i giorni 7, 8 e 9 ottobre (distribuito da Notorius Pictures che ne è anche produttore in collaborazione con il Teatro). Parte dell’incasso andrà in beneficenza a Teatro Patologico Onlus per supportare la ricerca scientifica e dare speranza a molti ragazzi disabili psichici e fisici attraverso la teatro-terapia. Il film vede la partecipazione, oltre Dario D’Ambrosi e diversi ragazzi della Compagnia Stabile del Teatro Patologico, di un cast d’eccezione con Raul Bova, Stefano Fresi, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Vinicio Marchioni, Marco Bocci, Stefania Rocca, Riccardo Ballerini, Domenico Iannacone e Claudio Santamaria (nella foto).

Claudio Santamaria, cosa l’ha convinta a partecipare a questo progetto?

“Conosco il Teatro Patologico dall’anno della sua nascita, nel 1992. Allora muovevo i primi passi nella recitazione e nel doppiaggio. Ho partecipato a un seminario in una struttura ospedaliera e in quell’occasione ho scoperto la frase ’Io sono un po’ matto... e tu?’. Ho assistito a uno spettacolo che mi ha colpito molto. Così ho conosciuto Dario D’Ambrosi. Ci ho lavorato insieme, l’ho sostenuto come ho potuto, insomma è nato un bellissimo rapporto d’amicizia. Lui fa qualcosa che non fa nessun altro. Dà una grande possibilità a questi ragazzi. Le famiglie lo ringraziano in lacrime. Solo per quello che fa, merita la nostra attenzione. Noi dobbiamo essere il suo megafono. Dario D’Ambrosi offre a questi ragazzi un modo di esprimersi attraverso il teatro, in uno spazio dove poter esistere”.

Nel film lei ha una parte molto toccante. Una persona con una “paranoia ossessione“...

“Ho lavorato molto con Dario D’Ambrosi per interpretare la mia parte. Mi sono lasciato andare, mi sono immerso in questa incapacità di vivere la vita fino in fondo. Molto spesso, noi che ci consideriamo ‘normali’, ci mettiamo davanti più problemi di quelli che abbiamo. Chi soffre di una patologia, a volte, dimostra di essere più libero, nonostante i suoi problemi siano reali. Sai, a volte gli attori mettono la mano alla fronte, sono melodrammatici. Ho cercato di usare questo aspetto dell’attore che ‘soffre per il suo lavoro’. In realtà, più passano gli anni e più mi rendo conto che il mestiere dell’attore è un gran divertimento”.

Avendo raggiunto il mezzo secolo di vita, ha una consapevolezza diversa di sé stesso?

“I 50 anni li sto vivendo benissimo. Primo ero a 49, quindi 4 + 9. Ora sono a 50: 5 + 0... Sono un bambino. Mi sento addosso un’energia notevole. Ho anche raggiunto un certo grado di autorevolezza. Posso dare del tu a tutti (ride, ndr). Per fortuna, mi sento sempre uno studente. Ho una curiosità innata, sin da piccolo, verso le cose. Il mio obiettivo è sempre imparare qualcosa di nuovo”.

Lei ha alle spalle decine di film. Quando c’è stato il classico turning point?

“Ce ne sono stati diversi. In primis, ’L’ultimo bacio’. Importante perché ha riportato al cinema il pubblico a vedere film italiani. Lavorare con Gabriele Muccino (regista de ’L’ultimo bacio’, ndr) è sempre stato un privilegio. Quando lavori con lui, ti senti protetto. Sa tirare fuori il meglio da te. Poi, tornando alla domanda, ’Paz!’, il primo film in digitale, ’ Romanzo Criminale’, ’Lo chiamavano Jeeg Robot’ e pure ’Casino Royale’ che mi ha fatto conoscere un nuovo modo di fare cinema, un rispetto per il lavoro di tutti che mi ha colpito. Mi sono sentito uguale a tutti gli altri: attori o macchinisti, ognuno rispettato per il suo lavoro”.

Al fianco di un certo Daniel Craig in Casino Royale...

“Si vede che è un attore che è ha fatto la gavetta. Sta lì a sudare insieme a te. Ho istaurato un bel rapporto con lui. Sei al suo cospetto, un grande attore che sta facendo un’opera incredibile ma lo fa con grande umiltà e gentilezza. Qualità tipiche di chi ha faticato e ha talento. Chi si atteggia tanto, solitamente non ha nulla da esprimere”.

Ha lavorato ovunque, che rapporto ha con la città di Milano?

“Mi piace molto. Ha una bellezza discreta, come una donna che vuole svelare poco. Nella sua borsetta ha tutto quello che serve. Si vive molto bene a Milano, la considero come una piccola New York. Ti sveglia la mattina e ti prende a calci se non fai nulla. Offre tantissimo ma ti sprona a fare, sempre”.

Che cosa vuole fare nel suo futuro?

“Sto seriamente pensando di debuttare alla regia. Non è un desiderio ma una necessità. Ricordo ancora la soddisfazione quando ho girato il mio cortometraggio ’Rosso’ nel 2003. Ho fatto il liceo artistico, mi piace creare ed è quello che voglio fare appena avrò un po’ di tempo. A novembre terminerò le riprese di ’Idolos’, poi penserò al mio progetto. Oltre a suonare, suonare e suonare…”.

Insomma, per chiudere: che riflessione possiamo fare ritornando al punto di partenza: “Io sono un po’ matto… e tu?“.

“Abbraccia tutti noi. Quando ho scoperto il Teatro Patologico, mi sono preso il manifesto con questa scritta e l’ho sempre conservato perché questa frase racchiude il senso di ciò che la nostra cultura deve scardinare, il sentirsi diversi dagli altri. Ognuno di noi ha i germi della follia dentro di sé. Prima di giudicare, di emarginare, dovremmo interrogarci su quanta follia c’è in noi”.