
Alessandro Cadario
Milano, 12 gennaio 2017 - Curioso, perennemente alla ricerca, Alessandro Cadario è sicuramente uno dei più interessanti direttori d’orchestra della nuova generazione. Nato a Varese trentasei anni fa, milanese d’adozione, la città in cui si è formato. Il pianista e compositore si esibisce stasera alle 21 e sabato alle 17 al Teatro dal Verme con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali alla 72esima stagione sinfonica. La prima parte è dedicata a Camille Saint-Saëns con “Concerto per pianoforte e orchestra n. 2, in sol minore, op. 22” e la seconda a Beethoven con “Sinfonia n°4 op.60”.
«Fare il direttore d’orchestra significa comunicare. La musica classica è stata scritta per tutti, non dimentichiamolo».
Quando Beethoven compose la Quarta Sinfonia aveva la sua stessa età. Come vive la coincidenza?
«Quando un artista si accinge a interpretare un capolavoro è sempre in soggezione. L’essere coetaneo del Maestro, il ritrovarmi nella sue idee musicali, nella sua capacità di guardare avanti, creano empatia nell’interpretarlo. Beethoven è moderno, rompe gli schemi formali, usa l’orchestra come ritmo, oserei dire che è rock. Cerco di interpretare la sua musica facendo un mio percorso, attraverso i criteri del repertorio classico sottolineo la forza iconoclasta beethoveniana che sfocia nel XX secolo. Il futuro guarda al passato».
E se Beethoven potesse assistere alle prove cosa direbbe?
«Agli orchestrali direi: dimentichiamoci Haydn, le sue pur bellissime e fondamentali sovrastrutture: è arrivato un giovane compositore, atteniamoci al segno della sua partitura».
Come si è avvicinato alla direzione d’orchestra?
«Gradualmente, le prime esperienze musicali a Varese, poi il Conservatorio a Milano e l’Accademia Chigiana mi hanno dato la possibilità di maturare. Un percorso di scoperte dal canto corale allo studio del violino, poi mi sono innamorato della composizione. Tappe che mi hanno fatto capire la mia vocazione. Mi piace sapere che leggendo la partitura devo fare scelte, sintesi per poterla realizzare. Con la direzione tutti i miei studi sono andati a compimento. Il violino per la parte tecnica e orchestrale, la composizione per capire la struttura e gli schemi».
Compone ancora?
«In questo periodo mi concentro sulla direzione, non tutti possono essere Leonard Bernstein. Lo studio della musica del passato e del presente è imprescindibile, dà le basi per interpretazioni future. Il mio motto è “interpretare la musica classica come fosse una prima assoluta e una prima assoluta come fosse un brano del repertorio”. Togliere polvere al grande repertorio e dare autorevolezza alle partiture contemporanee».
È stato consulente per gli episodi veneziani della serie televisiva “Mozart in the jungle” che andranno in onda quest’anno.
«Ho invitato Gael Garcia Bernal, il protagonista, a non imitare un direttore d’orchestra ma a interpretarlo. In una scena girata a piazza San Marco, io dirigevo la mia incisione del brano, lui seguiva il mio gesto.