
L’identità visiva di un film nasce anche grazie all’immaginazione di artisti e illustratori capaci di creare lo storyboard da cui partire nel racconto
Milano – In principio fu Georges Méliès fra i primi registi a fare uso di disegni preparatori per ideare le scene dei suoi film fantasy e di fantascienza, tra cui il capolavoro Viaggio nella luna (Le voyage dans la lune, 1902). Questa modalità di lavoro, un complesso procedimento creativo, lo storyboard, ossia tradotto in italiano, la “sceneggiatura disegnata“ risale all’inizio del XX secolo e si lega allo sviluppo dell’animazione. A partire dagli anni Trenta, i Fleischer Studios e la Walt Disney Productions, e poi negli anni Quaranta la United Productions of America, commissionavano ad animatori e artisti la creazione di sequenze di schizzi e altri elementi visivi durante l’elaborazione della trama e la definizione dei personaggi.
Ad esplorare tutto questo mondo ci prova la mostra di Fondazione Prada “A Kind of Language”, (sino all’8 settembre, con una selezione di film al Cinema Godard) negli spazi di Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Curata da Melissa Harris comprende oltre ottocento elementi creati tra la fine degli anni Venti e il 2024 da più di cinquanta autori tra i quali registi, direttori della fotografia, artisti, grafici ed animatori e altre figure legate alla produzione di film e video. Ci sono delle chicche. Come i disegni di Betty Boop, Braccio di Ferro, Mr. Magoo, Pinocchio, Biancaneve e Topolino nel classico d’avanguardia Fantasia (1940) di Walt Disney, oltre ad altri celebri personaggi dei primi film d’animazione. Negli stessi anni lo storyboard diventa uno strumento fondamentale per l’elaborazione delle opere cinematografiche, dall’animazione al live-action, una rappresentazione visiva concreta e sistematica dello svolgimento della storia.
Decenni dopo, lo storyboard continua a essere il precursore di progetti di animazione, come dimostrano i disegni preparatori di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli esposti in mostra. La curatrice Harris sottolinea che “impostare visivamente una scena per poi definirne l’andamento può aiutare il team coinvolto nella realizzazione del film a riflettere sulle relazioni tra i personaggi, a immaginare come sviluppare la narrazione o a comprendere il miglior modo di trasmettere l’essenza di una particolare sequenza”. Ed è interessante scoprire il dietro le quinte di un mondo che siamo abituati a conoscere attraverso il filtro di uno schermo. L’allestimento della mostra è stato concepito da Andrea Faraguna dello studio di architettura Sub di Berlino.
I tavoli espositivi ispirati alle scrivanie da disegno sono al centro del design della mostra. Ogni tavolo è dedicato a un film specifico di cui viene presentata la narrativa visuale sotto forma di una sequenza di scene. Con lo storyboard si definiscono meglio “luoghi” ma anche l’identità dei personaggi. Come l’indimenticabile protagonista di Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini, interpretata da Anna Magnani, le sei metamorfosi di Bob Dylan in I’m Not There (2007) di Todd Haynes, le due figure femminili che si fondono nella scena cruciale di Persona (1966) di Ingmar Bergman e le cinque sorelle Lisbon del film Il giardino delle vergini suicide (The Virgin Suicides, 1999), opera prima di Sofia Coppola.