C’era una volta lo zoo di Milano: il puma dell’attore, le fughe di Nerone e Poppea e i concerti di Bombay

Viaggio con l’antropologo Massimiliano Fantò tra i ruderi nei Giardini di Porta Venezia. Lo zoo nato alla fine del Settecento (con giraffe, ippopotami, elefanti, tigre, leoni e scimmie) è stato definitivamente chiuso nel 1992: “Così, nel tempo, è cambiata la sensibilità verso gli animali”

Uno scatto d’epoca dello zoo di Porta Venezia, a Milano

Uno scatto d’epoca dello zoo di Porta Venezia, a Milano

Milano – Una gabbia vuota vicino all’entrata dai Bastioni, una vasca con un mosaico azzurro pieno di buchi, una palazzina ora trasformata in laboratorio didattico. Sono in pratica le uniche testimonianze rimaste di quello che fino a metà degli anni 80 fu una delle principali attrazioni della città: lo zoo di Porta Venezia. Una porzione di quelli che adesso sono i giardini Indro Montanelli – all’incirca dal laghetto dell’anatre fino a Palazzo Dugnani – che è arrivata a ospitare (o meglio, contenere) fino a 500 animali e capace di radunare nei fine settimana migliaia di bambini da tutta la provincia.

A sinistra, una vecchia foto del leone ospite dello zoo di Porta Venezia. A destra, il Paleolab, il laboratorio didattico nell'edificio che ospitava i leoni (Foto Paolo Salmoirago)
A sinistra, una vecchia foto del leone ospite dello zoo di Porta Venezia. A destra, il Paleolab, il laboratorio didattico nell'edificio che ospitava i leoni (Foto Paolo Salmoirago)

Un pezzo di Milano cancellato per sempre nel 1992, anno di chiusura dello zoo, ma che sopravvive nella memoria di tanti ex bambini e che Massimiliano Fantó, antropologo dottorando all’Università Bicocca specializzato in Human-Animal Studies, ha riportato in vita durante l’Anthroday, la giornata dedicata all’antropologia, con una passeggiata didattica tra i ruderi del fu giardino zoologico.

La gabbia che ospitava l'orso polare vicino all'ingresso dai Bastioni di Porta Venezia  (Foto Paolo Salmoirago)
La gabbia che ospitava l'orso polare vicino all'ingresso dai Bastioni di Porta Venezia (Foto Paolo Salmoirago)

"L’evoluzione dello zoo, dalla sua creazione quasi spontanea nell’800 fino alla sua chiusura – spiega Fantò – ci dice tanto di come si è trasformato il rapporto tra uomo e animali ma anche tra uomo e città. Da una visione tipicamente antropocentrica, con gli animali come oggetti ornamentali, fino all’affermazione della sensibilità ambientale e animalista che alla chiusura definitiva dello zoo".

Famiglia milanese in gita domenicale allo zoo
Famiglia milanese in gita domenicale allo zoo

La storia dello zoo meneghino affonda le sue radici alla fine del 1700. E si intreccia con l’evoluzione dei giardini di Porta Venezia. Fino alla metà dell’800 il parco era diviso in due: la parte verso corso Venezia era pubblica (la sua sistemazione fu affidata a fine 700 a Giuseppe Piermarini) e la parte verso via Manin privata, di pertinenza del palazzo Dugnani, di proprietà dell’omonima famiglia fino al 1842, anno in cui venne ceduto al Comune. Era quest’ultima un’area selvatica nella quale erano già presenti animali, soprattutto volatili, collegata all’Istituto di Scienze Naturali che aveva la sua sede proprio dentro a Palazzo Dugnani (lo spostamento nell’attuale Museo avvenne solo alla fine dell’800).

Con la cessione al Comune la popolazione “non umana” dell’area iniziò a crescere a dismisura. In un censimento del 1867 vengono elencati già un centinaio di animali, tra i quali una giraffa, volpi, un pellicano, tre gazzelle, daini e cervi. Lasciti di milanesi facoltosi e avveturosi (il primo puma fu donato da un famoso attore che lo portò dall’America) ma anche gente comune che non sapeva che fare della “bestia“ che si era ritrovata in casa.

Fin da subito si pose il nodo della gestione, con il Comune alle prese – guarda caso – con problemi di budget e, diremmo oggi, di governance. Da qui la decisione di cedere lo zoo ai privati nel 1932, e l’entrata in scena di Augusto e Mariuccia Molinar, titolari della più importante azienda italiana di importazione di animali dall’Africa e dall’Asia.

Mentre l’esposizione delle “fiere“ attirava sempre più persone si moltiplicavano però le lamentele di cittadini. Per il cattivo odore, i rumori notturni, la “sconcezza“ delle scimmie e le ripetute fughe di animali. Tra le quali le più celebri furono quella degli ippopotami Nerone e Poppea nel 1942 (terminata nel laghetto) e delle foche nel 1958, bloccate nell’ascensore del Palazzo della Stampa nella vicina piazza Cavour.

L'elefantessa Bombay, star dello zoo di Porta Venezia
L'elefantessa Bombay, star dello zoo di Porta Venezia

La star indiscussa dello zoo fu Bombay – o “Bombe“ come la chiamavano i bambini – l’elefantessa indiana che intrattenne i piccoli milanesi fino gli anni 80 (morì il 13 febbraio nel 1987) camminando in equilibrio su piccoli mattoni, suonando un rudimentale charleston con la zampa e l’organetto con la proboscide, con la quale ritirava poi le mance degli spettatori: noccioline per lei, soldi per il suo custode.

Con la diversa sensibilità ambientale (dai primi anni 80 furono sempre più numerose le proteste, ci fu anche chi si incatenò ai cancelli), quello che per due secoli era stato la meta prediletta delle famiglie divenne sui giornali il "lager degli animali" e dalla metà degli anni 80 lentamente smantellato. Fino alla sua chiusura nel 1992.

Oggi di quella lunga, tormentata, storia restano poche trascurate tracce. Segno di una memoria che non trova pace nemmeno tra i milanesi: combattuti tra la nostalgia dell’infanzia perduta e il disagio per le condizioni in cui migliaia di animali hanno trascorso il loro soggiorno meneghino.

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