CLAUDIA CANGEMI
Cronaca

Emanuela Borrelli e la figlia disabile, 35 anni di lotta per Alma: "Eppure a volte l’ho vista felice"

Milano, madre di una 35enne con una severa forma di autismo “non verbale”, Emanuela confida: “A volte avrei la tentazione di scappare”

Vita a ostacoli per i disabili e le loro famiglie

Vita a ostacoli per i disabili e le loro famiglie

“Una vita difficile“ è il titolo di un famoso film del 1961. Io avevo solo sei anni quando l’ho visto, e non potevo certo immaginare di viverla anch’io una vita così difficile. Ma non posso averne un’altra e nemmeno fuggire, anche se spesso avrei la tentazione di farlo. Con mio marito a volte ce lo diciamo, cercando di smussare l’esasperazione con un pizzico di umorismo: ‘Scappo io o scappi tu?’". Emanuela Borrelli ha 68 anni e una figlia di 35, disabile per una severa forma di autismo “non verbale“, diagnosticata quando aveva due anni e mezzo.

Com’è cominciata?

"Alma è la mia prima figlia. Come tutte le primipare ero inesperta, ma ero rimasta in contatto con una donna che aveva partorito come me a Ponte Dell’Olio. Già a tre mesi, il confronto con sua figlia evidenziava che la mia bambina era meno curiosa e presente. Poi, frequentando il servizio Spazio giochi, è diventato sempre più evidente che il comportamento di mia figlia era diverso da quello degli altri bambini: lei non interagiva con loro e persino con me si comportava in modo strano, come assente. Piangeva molto senza apparente motivo. Però è difficile ammettere anche con sé stessi che tua figlia potrebbe non essere ‘normale’. Alma aveva sette mesi quando il pediatra ci parlò di un possibile ritardo psicomotorio, così iniziai a osservarla meglio e a informarmi. Ci rivolgemmo a una neuropsichiatra del nostro territorio che parlò di tratti autistici, avviando un percorso fatto di esami di routine al Besta di Milano, e poi ricoveri per valutazioni e accertamenti diagnostici all’ospedale di Bologna con un’equipe di ricerca e terapie allora sperimentali. A ogni tipo di indagine Alma si rifiutava di collaborare e a volte si doveva ricorrere all’anestesia profonda".

Infine è arrivata la diagnosi...

"Un duro colpo. Ricordo il disorientamento, la paura, il senso di colpa. Allora si sapeva qualcosa di più dell’autismo, ma circolavano ancora vecchie teorie su responsabilità di una madre “fredda” all’origine dell’handicap. Anche sulle terapie da seguire le idee erano poche e confuse. Si suggeriva a tutti un generico percorso di psicomotricità, senza applicarlo all’handicap specifico, che pertanto si rivelava inutile. Cambiò qualcosa in meglio quando ci rivolgemmo al dottor Enrico Micheli, psicologo comportamentista che dirigeva un’equipe di educatori formati per l’autismo al Ctr di Milano. Grazie a lui si avviò per Alma un percorso che prevedeva incontri di osservazione e programmi educativi da svolgere sia a scuola che a casa, compreso un percorso di parent training da me seguito con altri genitori. Ci confrontavamo fra noi sulle rispettive esperienze e sugli escamotage che ciascuno si inventava nelle difficoltà quotidiane".

Cosa ha significato per lei?

"Sentirmi compresa e meno sola. Già, perché una cosa che impari subito quando hai un figlio disabile grave è che la tua vita non è più quella che pensavi di vivere. Le persone che ti erano vicine prendono le distanze, forse perché non sanno come relazionarsi. Cercano di consolarti con frasi sciocche. La donna che aveva partorito con me mi disse: “Va beh, dai, pensa che Alma rimarrà piccola e resterà sempre con te“, come se questo potesse rendermi felice! Si crea un solco di incomprensione. E poi non hai più tempo per nulla, impegnata come sei 24 ore al giorno a tentare di comprendere e soddisfare bisogni di una figlia che non è in grado neppure di esprimerli".

Alma non parla mai?

"Capita ma raramente. Una volta ha detto “buon Natale“ incontrando i vicini, un’altra ha pronunciato la parola “ascensore“ mentre salivamo. Le piace la musica e, quando lo decide lei, canta. Mio marito Roberto è musicista e compositore. Alma conosce a memoria e canta le sue melodie dall’età di 4 anni. La musica di certo smuove qualcosa in lei, a volte ascoltandola si mette a piangere".

Cosa pensa del rapporto con medici ed esperti?

"Sarebbe importante che chi si occupa di persone come Alma avesse un atteggiamento di apertura: le persone autistiche, ognuna con le proprie caratteristiche e peculiarità, andrebbero ascoltate con sensibilità e attenzione profonde, direi creative, perché loro hanno molto da raccontare se sai leggere la musica tra le righe del “loro“ spartito".

Vi sentite supportati dallo Stato? Come vede il futuro?

"Le residenze sanitarie in grado di accogliere persone autistiche gravi sono pochissime rispetto alle esigenze. Sono più di 10 anni che Alma è in lista d’attesa per l’inserimento nella Rsd che si trova a Codogno. Io e mio marito abbiamo quasi 70 anni e vorremmo vedere nostra figlia inserita in un contesto che le offra una prospettiva di vita serena per quanto possibile".