Milano – Condannato a 4 anni di carcere per violenza sessuale dopo due richieste di proscioglimento. Arriva con la sentenza della Gup di Milano il nuovo capitolo della vicenda giudiziaria – raccontata dal Corriere della Sera – sulla denuncia di stupro presentata nel 2019 da un ragazza allora 27enne. Una sentenza che la donna però non potrà vedere perché si è tolta la vita nel 2022.
La serata sui navigli
Tutto inizia la notte del 13 maggio 2019: la ragazza trascorre la serata sui Navigli con un’amica con la quale aveva una relazione sentimentale. A fine serata, dopo aver lasciato l’amica, la ragazza accetta un passaggio da un ragazzo a bordo di un furgone.
Lo stupro e il silenzio
“Sembrava un bravo ragazzo”, disse nella denuncia. Invece l’uomo la trascinò in casa sua dove la violentò. A segnare l’andamento del processo che seguì fu però la reazione della ragazza a quella violenza. Come lei stessa ha spiegato non riuscì a ribellarsi o a resistere, ma si chiuse “a riccio” nel silenzio. Fuggì dall’appartamento solo quando l’uomo di addormentò.
Le tesi dei pm
Questo comportamento convinse la pm del primo processo a chiedere il proscioglimento dell’imputato “per insussistenza di alcuna condotta di minaccia e violenza nel compimento degli atti sessuali”. La ragazza – disse la pm – “non urlò né si dimenò, e non ha riferito alcuna forma di coartazione fisica né di manifesto dissenso a gesti o a voce”. Stessa tesi sostenuta anche nella seconda richiesta di proscioglimento: “L’uomo – sostenne la Procura – aveva “frainteso” il silenzio della ragazza per l’ora tarda e la stanchezza”.
La transizione il suicidio
Durante l’iter processuale la ragazza intraprese un percorso di transizione di genere, e nel 2022 si tolse la vita. Da quel suicidio nacque un’altra inchiesta che si concluse con un nulla di fatto: il gesto non era stato istigato da nessuno.
Il dissenso silenzioso
Dopo il suicidio, nel dicembre 2022, la gip di Milano respinse invece la richiesta di archiviazione del procedimento sulla violenza sessuale ordinando l’imputazione coatta dell’uomo. “Non esiste alcun indice normativo – disse la gip – che possa porre a carico del soggetto passivo un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso”. “Si deve presumere tale dissenso – proseguì la giudice – laddove non esistano indici chiari e univoci volti a dimostrare l’esistenza di un (sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco) consenso”. Infine ieri, martedì 7 novembre, la condanna dell’uomo a 4 anni (con riduzione di un terzo in quanto arrivata con rito abbreviato).