
Gianni Versace con le sue modelle
Milano, 26 settembre 2018 - «Ero amico di Gianni Versace. Ricordo le passeggiate in Galleria, le colazioni e le grandi chiacchierate sull’arte, le gallerie che in quegli anni prosperavano in città». Paolo Pillitteri apre volentieri l’album dei ricordi, lui che è stato il sindaco della «Milano da bere» nei mitici anni Ottanta (dal 1986 al gennaio ’92) che segnarono l’affermazione del made in Italy e l’esplosione della moda.
«Fu allora che si gettarono le basi per l’internazionalizzazione del sistema moda, non v’è alcun dubbio», aggiunge. «Oggi ne vediamo i risultati, anche quelli meno gradevoli». Gli anni Novanta furono un decennio indimenticabile per Versace; gli anni del successo internazionale segnato da abiti iconici. Era indiscutibilmente «il re delle sfilate». Perfino Lady Diana cambia look e comincia a vestire Versace. Il decennio, purtroppo, anche della morte dello stilista assassinato il 15 luglio 1997 a Miami. I funerali, ricorda Pillitteri, si svolsero in Duomo. Vi presero parte fra gli altri la principessa Diana, Elton John, Sting e Naomi Campbell. Elton John e Sting cantarono insieme The Lord is my Shepherd durante la celebrazione. La «perdita» di Versace, di un marchio italiano che passa all’americano Michael Kors - per Donatella e Salvo restano quote di minoranza - ragiona ancora Pillitteri, «non può lasciare indifferenti e secondo me meriterebbe valutazioni più appronfondite sullo shopping straniero fra le griffe tricolori». Preoccupato? «Niente affatto perché Milano è una culla storica e la moda italiana gode ancora di ottima salute». La grande fuga di marchi non ha indebolito l’industria italiana della moda. C’è chi resta, da Cavalli ad Armani. «Ma l’amaro in bocca per la cessione agli americani resta», insiste l’ex sindaco.
Di Gianni Versace Pillitteri ama anche ricordare un lato del carattere che lo colpiva molto: «Era attento, mai superficiale, sapeva ascoltare, mai malinconico. Lui adorava Milano e Milano lo ricambiava. Come non ricordare la mostra che gli organizzammo a Palazzo Reale che fu una sorta di “sigillo“, di riconoscimento da parte della città che lo aveva adottato? Una Milano accogliente, ieri come oggi, che gli ha aperto le porte. Lui che aveva lasciato la sua Calabria. E che con il suo talento ha fatto la storia della griffe della Medusa. Se Milano non fosse stata quella che è, città aperta al dialogo e all’accoglienza, non avrebbe avuto un Versace».
E ora l’ex sindaco come vede il futuro per Milano? «Luminoso. La città ha avuto, fra mille difficoltà, la capacità di rigenerarsi, raggiungendo anche un certo equilibrio fra realtà diverse, economiche e sociali. Certo ci sono ancora delle sfide da vincere, come ad esempio il rilancio delle periferie, ma la città è in grado di affrontarle. Anche le più complesse».