
Le vecchie società e il valzer delle sentenze "Salario da alzare". Confronto vertici-sindacati.
Il contenzioso affonda le radici nei primi anni 2000, quando sono state gettate le basi di un lunghissimo iter giudiziario non ancora arrivato alle battute finali. Al centro la richiesta di corrispondere le "differenze retributive" avanzata da lavoratori che erano stati assunti da Amsa Due e Amsa Tre, società create in quel periodo da Amsa, all’epoca municipalizzata del Comune di Milano, per partecipare agli appalti su pulizie e servizi di raccolta rifiuti nell’hinterland. "Ci venivano applicate condizioni peggiori rispetto agli altri dipendenti di Amsa – spiega un ex lavoratore di Amsa Tre – che si traducevano in uno stipendio più basso, da 350 a 400 euro in meno al mese".
Nel gennaio del 2008 Amsa è entrata a far parte del gruppo A2A, la multiutility che opera nei settori ambiente, energia e reti. E nel 2009 è arrivata al capolinea l’esperienza di Amsa Due e Amsa Tre, incorporate con atto di fusione da Amsa Spa, che ha quindi assorbito anche i dipendenti dei suoi ex “spin off“. Un’operazione che, in parallelo, ha visto proseguire una serie di cause per ottenere il pagamento delle differenze.
Il Tribunale del lavoro di Milano, leggendo le carte su uno dei casi seguiti dal sindacato Cub, in primo grado ha dato ragione al lavoratore, condannando Amsa a risarcirlo. La Corte d’Appello, però, nel 2018 ha ribaltato la sentenza, sostenendo che la domanda era stata avanzata "tardivamente" rispetto ai termini, e quindi era venuta meno ogni possibilità di pretesa. La sentenza è stata poi impugnata dal legale in Cassazione, ottenendo un nuovo ribaltamento. La Suprema Corte, nel 2023, ha infatti disposto un processo d’appello bis, sostenendo che "fino a quando il lavoratore non riceve un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente, che neghi la titolarità del rapporto, non può ricorrere alcun termine decadenziale".
Si è arrivati quindi a una nuova sentenza della Corte d’Appello che, il 22 novembre 2023, ha accertato che tra Amsa Spa e il lavoratore "intercorre un rapporto di lavoro subordinato" dal primo giugno 2003, quando fu assunto in Amsa Tre. Ha condannato quindi Amsa a "corrispondere al ricorrente le differenze retributive fra quanto percepito" dal 2003 "e quanto avrebbe dovuto, da tale data, percepire sulla base del trattamento economico e normativo vigente presso Amsa Spa". Manca ancora la parola fine delle Cassazione, intanto gli anni passano e alcuni lavoratori coinvolti nel frattempo sono andati in pensione. Un “pasticcio“ che trae le sue origini nel passato (la prima causa risale al 2002) e che ora si sta cercando di ricomporre.
"Amsa conferma che, pur non essendo al momento stata individuata una intesa, è stato avviato un confronto con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative con l’obiettivo di individuare una soluzione condivisa utile ad evitare potenziali vertenze, dall’esito comunque incerto, che coinvolgerebbero una quota minoritaria dei dipendenti attualmente in forza", rende noto Amsa.
"Queste vertenze sono state iniziate dal nostro ufficio legale e supportate in solitaria dalla nostra organizzazione sindacale ancora nei primi anni 2000 – sottolinea Mattia Scolari, sindacalista Cub –. Ora che finalmente si sta arrivando ad una definizione in favore dei diritti dei lavoratori, chiediamo che l’attuale dirigenza di Amsa si confronti responsabilmente con tutte le organizzazioni sindacali facendo una proposta che risolva il contenzioso garantendo ai lavoratori di recuperare realmente le differenze economiche patite sotto Amsa Due e Amsa Tre".
Andrea Gianni