Carriera alias, la docente: “Università e scuole hanno fatto da apripista. La scelta del Comune è segno di maturità”

Camen Leccardi è professoressa emerita in Sociologia della cultura all’Università Bicocca

"Università e scuole hanno fatto da apripista. La scelta del Comune è segno di maturità"

"Università e scuole hanno fatto da apripista. La scelta del Comune è segno di maturità"

Camen Leccardi è professoressa emerita in Sociologia della cultura all’Università Bicocca.

Sulla carriera alias le scuole e le università hanno fatto in un certo senso “scuola“?

"Assolutamente sì. Un po’ di tempo fa sono stata presidente del comitato per le Pari opportunità dell’università Milano-Bicocca. Ci eravamo battute per avere le carriere alias quando ancora era una procedura isolata. Bicocca si dimostrò già allora attenta: la carriera alias è stata avviata una decina di anni fa. Poi ha cominciato a diffondersi nelle scuole e il mondo istituzionale appare via via più sensibile".

Il Comune di Milano ha varato la delibera: si può usare il nome d’elezione su documenti interni, badge e mail.

"È una conferma della nuova maturità che stiamo raggiungendo rispetto alle esigenze normative di chi chiede un riconoscimento dell’identità in cui si sente espresso o espressa, che non è necessariamente quella anagrafica. Un dato positivo che si incrocia, su un diverso piano, con la recentissima approvazione, da parte della Chiesa cattolica attraverso il Pontefice, della benedizione in chiesa per le coppie dello stesso sesso. Ritornando alle carriere alias, paradossalmente, dal punto di vista sociologico, c’è un’anticipazione di questo riconoscimento da parte istituzionale rispetto a una quota di popolazione più refrattaria, sebbene non maggioritaria, sul piano culturale".

Anche a livello regionale però non sono mancate tensioni, dopo l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia contro la carriera alias nelle scuole, ritirato più volte, discusso e poi bocciato.

"Dobbiamo constatare che quello che le istituzioni europee da tempo garantiscono a livello normativo resta, per alcune forze politiche, ancora molto lontano".

Chi attacca la carriera alias sostiene possa creare emulazione, confusione. Cosa risponderebbe?

"Non è una moda. E le persone che intraprendono questo percorso non hanno nessuna necessità di essere emulate. Vorrei ricordare invece la questione del superamento del binarismo, come fattore culturale, con la divisione da una parte dei maschi ‘puri’ e dall’altra delle femmine altrettanto ‘pure’, una divisione che ha tante conseguenze negative. Nel mondo dell’istruzione pensiamo ad esempio alla minoranza di ragazze che seguono percorsi Stem e alla minoranza di ragazzi che seguono studi legati alle scienze pedagogiche: in entrambi i casi si tratta ancora di minoranze, una situazione che non aiuta certo il superamento delle diseguaglianze di genere, ad esempio per quel che riguarda le carriere professionali. Mentre le diseguaglianze di genere vanno superate, dobbiamo, io credo, rispettare le differenze di genere in tutte le loro declinazioni".

Chi difende la carriera alias sostiene che sia utile contro bullismo e mobbing. È così?

"È utile, ed è un’esigenza di chi sta facendo un certo tipo di percorso. Anche se il nome solo non basta contro la violenza nei confronti di chi esprime liberamente l’identità scelta. Leggevo ieri il caso dei due adolescenti inglesi, chiaramente disturbati, che avevano il “bisogno“ di uccidere qualcuno nella loro cerchia di conoscenze e, guarda caso, hanno scelto proprio una ragazzina transgender. Serve una rivoluzione culturale, che prenderà necessariamente degli anni, speriamo non il tempo di una generazione, che si calcola generalmente in un paio di decenni".

Simona Ballatore