Una tavolozza molto raffinata

Elvio

Giudici

Scala quasi piena per Thaïs di Jules Massenet, che al Piermarini c’è stata una volta sola nel 1942, 48 anni dopo la sua prima parigina: e chissà perché, trattandosi di opera non solo significativa nella storia del teatro musicale, ma assai bella. Ricavata dal contemporaneo romanzo di Anatole France intriso di sulfurea ironia nei confronti della religione e relative sue contraddizioni, la materia narrativa di Thaïs sollecita alcuni tra i nervi più scoperti della società borghese: a cominciare dal fanatismo religioso, di per sé e nel rapporto col sesso. Adombrato nella struttura "a clessidra" del monaco che redime la cortigiana ma scopre come la propria carne sia ben più sensibile di quanto supponesse. Sicché a una Puttana Santa corrisponde un Santo Dannato, nel quadro di melodie fitte di cesure ritmiche che spezzano e riaggregano il flettersi d’un salice musicale dalla sfinita ma tenace sinuosità: perfettamente adesa alla versificazione di Louis Gallet, che nella poésie mélique fa echeggiare parole da rispondenze interne sapientissime.

Materia sfuggente, difficile da rendere appieno: il giovanissimo Lorenzo Viotti ci riesce alla perfezione. Tavolozza cromatica ultraraffinata, tutta chiaroscuri armonici e carezze melodiche fatte intrecciare con quella lasciva morbidezza che è Massenet come più non si potrebbe, ovvero intridendo tutta la narrazione di quella sensualità che gioca col kitch più decadente senza però caderci mai. Lo accompagna benissimo una compagnia di alto livello. Marina Rebeka ha il fisico ma soprattutto la voce: che è bella, tecnicamente ferratissima così da effondere carezze e sciabolate con pari perfezione. Il Covid ci ha privato del francesissimo Ludovic Tézier, ma l’americano Lucas Meachem ha sfoggiato un fior di voce nonché diversi fraseggi azzeccati. Ottimi il giovin tenore Giovanni Sala e tutte le parti di fianco. Olivier Py, figura di punta della regia internazionale e direttore del festival di prosa d’Avignone, arriva per la prima volta in Italia. Spettacolo imponente che mescola ironia e sesso, affidato a notevoli tette e sederi nudi tra fumigar di vapori rossi, con tanto di donna nuda sulla croce e maschere zoomorfe ricavati dai quadri di Grünewald e di Rops. C’era di che temere il solito “non è da Scala”, ma si sa: tocchi Verdi o Puccini e si scatena un inferno ben peggiore di quello chez Thaïs; vai giù pesante con Berg o Massenet, e tutti in piedi a spellarsi le mani. Un passetto alla volta e forse riusciamo a fare del vero teatro musicale anche a Milano.

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