Omicidio del capo ultras dell'Inter: dal Baretto a casa, gli ultimi minuti di Boiocchi

Chi lo ha ammazzato conosceva i suoi orari e sapeva che c’era sempre qualcuno di "scorta" con lui. L’assassino con giubbotto scuro e casco integrale è fuggito col complice su una moto di grossa cilindrata

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I killer erano appostati dietro l’angolo, in via Anghileri. Conoscevano le abitudini del loro bersaglio, a cui la sorveglianza speciale imponeva di tornare nella sua abitazione entro le 22. Hanno atteso il rientro in via Fratelli Zanzottera e si sono scambiati un rapido cenno d’intesa: uno è rimasto in sella alla moto di grossa cilindrata; l’altro si è avvicinato e ha sparato, freddando il sessantanovenne Vittorio Boiocchi davanti al cancelletto dello stabile in cui viveva con la moglie Gianna Pisu, sorella di Marco, uno dei leader della curva negli anni Ottanta e poi sparito all’improvviso dall’universo ultrà.

Così è morto, sabato sera all’ora di cena, il capo della Nord, a circa un’ora dall’inizio della partita Inter-Sampdoria: trasportato d’urgenza al San Carlo, è morto subito dopo l’arrivo in pronto soccorso. Lui allo stadio non ci poteva entrare "durante lo svolgimento di qualsiasi manifestazione sportiva", come disposto dal provvedimento adottato dal giudice Fabio Roia l’8 giugno 2021 su richiesta della Questura. Tuttavia, poteva stare al Baretto (pur con l’obbligo di non frequentare "persone che hanno subìto condanne o sono sottoposte a misure di prevenzione o sicurezza"), luogo di ritrovo abituale dei gruppi organizzati: lì era una presenza fissa nell’immediata vigilia dei match casalinghi della Beneamata, anche se preferiva non farsi vedere troppo in giro; così come non mancava mai alle riunioni del direttivo, al giovedì.

Stando a quanto ricostruito finora dall’indagine degli specialisti della Omicidi della Squadra mobile, coordinati dal pm Paolo Storari e guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Domenico Balsamo, Boiocchi è partito dalla zona di San Siro attorno alle 19.30 a bordo di un motorino guidato da un giovane ultrà (il sessantanovenne si muoveva sempre accompagnato da qualcuno). In meno di dieci minuti, i due hanno coperto i circa sei chilometri che separano il Meazza da Figino.

Il sessantanovenne è sceso sotto casa, ha salutato l’amico e si è avviato verso l’ingresso del palazzo. In quel momento, l’assassino, che come il complice indossava un giubbotto scuro e aveva il casco integrale e che probabilmente attendeva nella vicina via Anghileri, si è incamminato a passo svelto verso il civico 12 e ha sorpreso Boiocchi davanti al cancelletto: il primo dei quattro-cinque colpi esplosi (i bossoli calibro 9x21 di probabile fabbricazione dell’Est Europa sono stati sequestrati e sono ora sotto la lente della Scientifica) potrebbe aver ferito l’uomo al fianco sinistro; poi il secondo proiettile a segno, al collo.

Quindi il killer si è voltato e ha ripercorso lo stesso tragitto di corsa: è montato sulla motocicletta ed è scappato a forte velocità con il complice, forse in direzione via Molinetto. I primi passi dell’inchiesta, che dovrà scandagliare a fondo tutto il passato recente del morto e i suoi legami sia all’interno che (soprattutto) all’esterno della galassia ultrà, sono quelli abituali: acquisizione delle immagini delle telecamere di videosorveglianza (sembra che ce ne sia una all’imbocco della strada e una alla fine), analisi delle celle telefoniche e incrocio con le utenze che le hanno agganciate sabato sera e nei giorni precedenti (nell’ipotesi che gli assassini abbiano effettuato sopralluoghi in zona). Le modalità dell’omicidio fanno pensare a un raid tutt’altro che improvvisato; di conseguenza, è facile ipotizzare che gli aggressori abbiano usato un veicolo rubato o con targa contraffatta.

 

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