
di Anna Giorgi
Quattordici anni e sei mesi per avere ucciso la suocera con 37 coltellate e tentato di uccidere la moglie con 22 ferite all’addome e al torace. Così Giuseppe Bianco, 68 anni, è stato condannato dalla Corte d’Assise, giudice Ilaria Simi e presidente Ilio Mannucci Pacini. Sulle sentenza ha pesato una capacità "grandemente scemata" per via di una forte depressione che nel periodo del covid aveva reso il pensionato parzialmente incapace di intendere e volere, secondo le perizie. Bianco è stato condannato anche a risarcire il fratello della suocera morta, Sergio Francescatti, 84 anni, uno dei sopravvissuti alla strage nella scuola elementare di Gorla. La provvisionale stabilita dal giudice è di 6.500 euro che Francescatti ha devoluto alla parrocchia in ricordo della sorella. Bianco per i periti si sarebbe poi reso conto della gravità dei fatti commessi in un momento di cortocircuito emotivo, dovuto alle difficoltà e alla solitudine aggravata dalla pandemia.
Sono stati questi i motivi, secondo la pm Cecilia Vassena, che hanno portato il mite 68 enne, ex operaio, una vita limpida passata a lavorare, rispettare ed aiutare tutti, ad uccidere la suocera e a tentare di uccidere anche la moglie e il gatto.
La convalida dell’arresto avvenne la notte stessa dell’omicidio e del tentato ai danni della moglie, il 20 novembre del 2020. L’uomo, in lacrime davanti alla pm Vassena, raccontò di aver perso la testa dopo una vita di sacrifici, in cui tutto improvvisamente gli si era ingarbugliato. E anche davanti alla Corte d’Assise aveva raccontato che cosa lo aveva portato a commettere un gesto che non avrebbe mai voluto fare. Una moglie disabile da vent’anni, a cui voleva bene, che negli ultimi tempi si era molto aggravata, la malattia l’aveva limitata nei movimenti, una suocera novantenne invalida, che non poteva essere trasferita in un istituto, a cui lui stesso, quindi, doveva provvedere. Così, la solitudine e la reclusione da lockdown lo avevano gettato in un profondo stato depressivo. In aula i tanti testimoni che conoscevano la coppia, avevano definito Giuseppe Bianco come un uomo generoso, disponibile ad aiutare tutti, volontario in diverse associazioni. Tutto era sempre filato liscio, in una vita non certo facile. Ma il periodo della pandemia aveva aumentato la sua ansia per il futuro.
Ansia per la vecchiaia che avrebbe aggravato la situazione e l’ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata la difficoltà dell’anziano a districarsi fra le pratiche burocratiche per la pensione della moglie. Viveva di piccole felicità il mite Giuseppe Bianco, tornava tutti i giorni nella via in cui aveva lavorato per anni, viale Jenner, salutava il barista, un caffè, due chiacchiere con il benzinaio, questo gli bastava per trovare la forza di affrontare tutto il resto. E scalare ogni giorno la montagna.
Poi il buio. Il Covid, la solitudine, il repentino cambio di abitudini. E una quotidianità fatta solo di sacrifici. Così "quella notte non ero io - dice Bianco - non so cosa mi è preso. Ho impugnato il coltello e sono andato in camera di mia suocera. Ho ancora in mente il suo viso, i suoi occhi increduli mentre l’accoltellavo. Poi ho deciso di farla finita, di uccidere anche mia moglie, il gatto e togliermi la vita. Di cancellare tutto".
Bianco dopo l’aggressione, che sarà fatale solo per la suocera Dilva Francescatti, chiama il 112 e chiede i soccorsi: "Ho accoltellato mia moglie, me stesso, ed anche mia suocera", dice al telefono. "Le ho colpite un po’ dappertutto, volevo uccidere loro e uccidere anche me. Pensavo di averle ammazzate, ma sono un cretino".