Una "totale astrazione dalla realtà", dimostrata dalle modalità delle loro spedizioni punitive contro i rivali. Astrazione che ha impedito "di percepire il disvalore ed il peso delle azioni criminose poste in essere, al punto che le continue ed improvvise ritorsioni, imprevedibili e “spettacolari“, sono ormai fortemente pericolose per la sicurezza pubblica e, soprattutto, vi è la percezione che essi vogliano perseverare in questa dinamica di “giustizia privata“, realizzata con armi, minacce sui social, ed avvertimenti ed aggressioni del tutto imprevedibili, tali da creare scalpore". È l’"analisi sociologica-criminologica" che il gup Rossana Mongiardo ha messo nero su bianco nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 13 ottobre ha condannato, con rito abbreviato, a 4 anni di reclusione il trapper 21enne Mohamed Lamine Saida, detto Simba La Rue, con altri 5 giovani della sua crew per il caso della cosiddetta "faida tra trapper".
Il giudice che ha inflitto per i coimputati di Simba La Rue pene fino a 3 anni e 8 mesi e ha accolto per un ulteriore giovane la richiesta di patteggiamento a 3 anni e 4 mesi di carcere, ha sottolineato che "tutti (...) hanno condiviso un medesimo progetto, che si è estrinsecato in svariate manifestazioni criminali, sponsorizzate anche sui social network, aventi tutti scopo sopraffattorio". Al centro del processo ci sono le accuse di lesioni e rapina per un’aggressione in via Settala commessa dal gruppo "per sfregio e punizione" per "mortificare" la vittima, un giovane che faceva parte anche lui dei rivali. E poi le lesioni aggravate ai danni di Baby Touché, altro noto trapper, che però ha deciso di non sporgere denuncia contro gli imputati, comportamento che i pm hanno ritenuto "reticenza per una logica di banda". Simba La Rue, che è pure tra gli imputati al processo per una sparatoria vicino a corso Como, la scorsa settimana è stato condannato dal Tribunale a 6 anni e 4 mesi di reclusione.