Torture al Beccaria, lo storico cappellano don Gino Rigoldi: “Non sapevo niente, mancano gli educatori”

Don Rigoldi, in prima linea per mezzo secolo: “Vanno riempite le giornate di questi ragazzi”. “Più tutele per i reclusi. Faccio mea culpa: non mi sono accorto delle violenze”

Don Gino Rigoldi

Don Gino Rigoldi

«La premessa è che i reati che ci sono stati e che sono dimostrabili vanno chiamati con il loro nome e hanno dei colpevoli. Detto questo, io insisto nel dire che nel carcere ci sono dei tempi morti che vanno riempiti, che i poliziotti penitenziari devono avere una formazione che li renda sensibili a temi educativi e spazi adeguati ed essere in numero sufficiente. Bisogna lavorare perché gli agenti non siano percepiti come ’avversari’ dai ragazzi. Per far questo, servono anche più educatori".

È il commento di don Gino Rigoldi a poche ore dallo scoppio del ’caso Beccaria’ con 13 agenti arrestati per presunte "sistematiche torture" nei confronti di giovani detenuti e altri 8 sospesi dall’esercizio di pubblici uffici. Proprio un mese fa, don Gino, 84 anni, per mezzo secolo cappellano del carcere minorile milanese, ha passato il testimone al suo ’erede’ don Claudio Burgio, restando però sempre presente nell’istituto penitenziario come emerito.

Il suo primo pensiero, dopo gli arresti?

"Che siamo rimasti senza agenti (l’organico si è dimezzato, ndr). E non per modo di dire, considerando che al Beccaria ne mancano da anni almeno 20 per avere un numero adeguato. Coloro che sono in servizio sono mediamente giovani e non hanno nessuna formazione dal punto di vista educativo. Questo è un male. Non me la sento di gettare la croce su di loro, come categoria, perché i turni sono spesso massacranti e si trovano davanti ragazzi impegnativi. Dal tardo pomeriggio fino alla mattina successiva sono soli, non ci sono più attività né educatori (e di queste figure ne mancherebbero almeno dieci). I tempi morti sono micidiali per i ragazzi. Molti dei problemi nascono da lì".

In passato era diverso?

"Mi ricordo che, vent’anni fa circa, dalle 19 alle 21 c’erano diversi club di lettura, di arte, di pittura, di musica che consentivano ai ragazzi dopo cena di avere momenti di aggregazione culturale, artistica e di tempo libero organizzato. Bisognerebbe ripristinare questa esperienza con la presenza di educatori e di animatori culturali".

Voi educatori vi eravate accorti delle violenze?

"Faccio un ’mea culpa’ perché non ce n’eravamo accorti, se non di qualche caso, e non così grave come quelli emersi adesso dall’indagine. Non abbiamo mai fatto finta di niente, ne abbiamo parlato e ci sono stati dei trasferimenti. I ragazzi dovrebbero essere maggiormente tutelati, questo è certo. Da un paio d’anni sono aumentati i giovani con sofferenza psichica".

In passato ha anche puntato il dito contro la mancanza di “una direzione stabile”. Ora com’è la situazione?

"Finalmente c’è un nuovo direttore (Claudio Ferrari, ndr ) e abbiamo da alcuni mesi una ’comandante vera’ (Manuela Federico, ndr ) che da circa un mese gestisce gli agenti, dopo decenni di comandanti precari: c’è bisogno che questa figura sia presente in forma stabile. Vorrei anche che la caserma che ospita gli agenti sia trasformata. Oggi gli spazi sono inadeguati, anche per il tempo libero. Io vorrei fare un progetto, a spese mie, per renderla migliore".

E per aiutare i ragazzi?

"Moltiplicare le attività, proporre attività che ai loro occhi siano sempre utili, aumentando quelle per imparare un mestiere. E pure incentivare gli ’articoli 21’ (la legge sull’ordinamento penitenziario prevede, all’articolo 21, la possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa, ndr ). Le ore ’impegnate’ riducono le tensioni".

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