Francesco Felice
Buonfantino*
Uscendo dal seminato dell’architettura contemporanea, attiriamo l’attenzione del lettore sulla Torre Velasca. Un’opera realizzata negli anni ’50, simbolo della ripresa economica post-guerra. Un edificio molto discusso al tempo, ma che ha reso Milano già allora la città intraprendente, coraggiosa, proiettata nel futuro che conosciamo oggi. Con quest’opera, il capoluogo lombardo ha posto fine al Movimento Moderno, ri-situando, come sosteneva Ernesto Nathan Rogers, l’architettura in un continuum con il passato: non più rivoluzione, ma evoluzione storica anticipando di diversi decenni quello che venne le dominato “post Modern Davide basta sì“. Il vezzo, quindi, di interpretare sempre prima degli altri la propria epoca, con uno sguardo ampio che comprenda tutte le arti, da quelle architettoniche a quelle letterarie, Milano l’ha sempre avuta. Per la Torre Velasca la parola d’ordine è “preesistenza”: l’opera mostra, infatti, elementi di grande innovazione in una forma che richiama inequivocabilmente gli edifici storici della città. La sua forma a “torre”, infatti, studiata per collocare gli uffici nei piani bassi e le abitazioni che necessitano di spazi ampi nella parte alta e panoramica, richiama di fatto le torri medievali del nord Italia. "Il valore intenzionale di quest’architettura - scriveva Rogers - è di riassumere culturalmente l’atmosfera della città di Milano". Il progetto iniziale voleva la Torre Velasca ancora più futurista visto che i materiali scelti erano acciaio e vetro, ma l’opera fu realizzata poi in cemento. Venticinque piani, 106 mt di altezza, 450 posti auto: un colosso per l’epoca. Ora il grattacielo con le bretelle, così affettuosamente nominato dai cittadini, si rifà il look
realizzando un retrofit formale ed energetico di grandissimo interesse; i lavori termineranno nel 2023 e saremo tutti lì per ammirare uno degli edifici più innovativi dello skyline milanese.
*Gnosis Progetti