
Un linguaggio aggressivo per sottolineare i problemi dei coetanei
Milano, 17 novembre 2017 – Quel tripudio di tatuaggi, look vistosi e dentature oro, sembra essere direttamente proporzionale al loro incontenibile talento. Sono i quattro membri di The RRR Mob, (ossia The Real Recognize Real Mob), il primo gruppo in Italia interamente composto da artisti di origine africana. Trainati dai successi solisti di Laioung, Isi Noice, Momoney e Hichy Bangz, oggi fanno il loro ingresso ufficiale nella scena musicale che conta. Un ingresso dirompente. Per cominciare il loro album d’esordio ha un titolo ambizioso: «Nuovo Impero». E ancora i contenuti: rime che danno voce alle seconde generazioni italiane e affrontano con naturalezza temi complessi quali la rivalsa sociale, la rabbia verso le discriminazioni. Il tutto su un tappeto sonoro che travalica i confini ridondanti della trap per abbracciare una musicalità cosmopolita dal retrogusto hip hop e R’n’B. Sedici tracce che rimbalzano dall’italiano all’inglese, passando per arabo e francese e vantano collaborazioni del calibro di Guè Pequeno e Luchè. Oggi, alle 17, incontreranno i fan alla Mondadori di via Marghera.
Come nasce la vostra musica?
«Esce dal cuore, in maniera del tutto spontanea. Benché ognuno abbia un proprio stile, siamo accomunati dallo stesso background musicale e ciò contribuisce a rafforzare il nostro gruppo, formato dal 2013. Ormai, quando siamo in studio, il processo creativo s’innesca automaticamente e, che si tratti di suoni o testi, non c’è nulla di artefatto».
E i riferimenti musicali?
«Accanto alla trap e all’immaginario hip hop americano ed europeo, il nostro seme musicale arriva sicuramente dall’Africa ed è attraversato da svariate influenze tribali».
Perchè la responsabilità di fare da portavoce alle seconde generazioni?
«La musica ci ha salvato dalla strada, aiutandoci a stare alla larga da delinquenza e droga. Per questo, attraverso le nostre canzoni, abbiamo tante cose da dire senza dover costruirci dei personaggi. Durante l’infanzia non abbiamo avuto grandi punti di riferimento perciò, in questo momento, ci sentiamo come dei fratelli maggiori per chi ha bisogno di rassicurazioni. È bello vedere come tanti giovani stranieri si ritrovino in quello che raccontiamo e a loro vogliamo dire che le alternative esistono».
Perché?
«In Italia c’era una sorta di vuoto musicale adatto a noi. Da qui vorremmo abbracciare quella fascia di pubblico finora dimenticata».