Nasce il testamento emotivo per i malati terminali: "Ecco ciò che sono e quel che ho imparato"

A realizzarli è l’associazione di cure palliative “Una mano alla vita“ con sede all’hospice del Niguarda. I pazienti possono scegliere il videoracconto o lo scritto. Il dottor Causarano: strumento potente

Grazia Grasso ha voluto rivolgersi ai nipoti: vivete al meglio, non piangetevi addosso

Grazia Grasso ha voluto rivolgersi ai nipoti: vivete al meglio, non piangetevi addosso

Milano – Grazia Grasso ha chiesto che fosse consegnato ai suoi nipoti. Gino Giusti lo ha dedicato ai suoi genitori. Michele Fatone ha scelto e scandito una volta per tutte le parole che lo rappresentano, ha ripercorso e rivelato il filo col quale ha intessuto il proprio tempo: "Ho cercato di fare il bene". Tutti e tre hanno raccontato in un video, davanti ad una telecamera, quello che hanno vissuto e per il quale hanno vissuto. Quello che non possono dimenticare e che hanno imparato. Quello che sono stati e che avrebbero continuato ad essere fino alla fine. Tutti e tre hanno voluto scegliere come farsi ricordare.

Un testamento, sì. Perché Grazia, Gino e Michele, mentre si raccontavano in quel video, davanti a quella telecamera, vivevano la condizione di malati terminali. Un lascito, il loro, in cui nulla c’entrano cose e patrimoni. Un ultimo atto di amore, piuttosto. Nei confronti dei propri cari ma anche di se stessi. Un testamento emotivo. Grazia, ad esempio. Lei desidera che ai suoi nipoti resti caro un insegnamento su tutti: "Vivere la vita il meglio possibile, godersela, senza piangersi addosso". Lei per prima lo ha fatto: "La malattia l’ho presa bene. Inutile disperarsi. Bisogna vivere il tempo che rimane". La malattia l’ha cambiata, ma in un senso preciso: "Si pensa un po’ più a se stessi".

A coinvolgere Grazia, Gino e Michele è stata l’associazione “Una mano alla vita“, impegnata a promuovere e diffondere le cure palliative già dal 1986. "Ma questo progetto – spiega il presidente Pier Giorgio Molinari – è recente, è nato solo pochi mesi fa, a novembre del 2022. In questi mesi abbiamo realizzato una trentina di videoracconti. L’obiettivo è permettere ai nostri assistiti di ripercorrere il proprio vissuto, di condividerlo ognuno secondo il proprio desiderio e le proprie necessità, di scegliere e comunicare ciò che desiderano che resti di loro. Sono sempre loro a dirci a chi vogliono lasciare il proprio messaggio. Questa attività rientra nel concetto più ampio che guida le cure palliative: il tempo della malattia è un tempo prezioso, da vivere intensamente e con assoluta consapevolezza, esattamente come il tempo che l’ha preceduta".

Accanto a Molinari c’è Renzo Causarano, direttore delle cure palliative dell’Hospice Tulipano dell’ospedale Niguarda, lo stesso dove ha sede l’associazione di Molinari. "Non tutti scelgono il video, alcuni preferiscono scrivere – spiega il direttore –. Questo raccontarsi è uno strumento molto potente perché induce il paziente a mettere a fuoco quello che per lui conta di più nonché ad individuare ed esprimere eventuali bisogni inespressi sui quali, magari, possiamo intervenire, sui quali possiamo lavorare insieme. È capitato – racconta Causarano – che durante uno di questi racconti emergesse un contrasto irrisolto con un fratello: ci siamo attivati perché potesse essere appianato, abbiamo fatto in modo che i due si rivedessero e facessero pace".

L’associazione “Una mano alla vita“ garantisce, per l’esattezza, i fondi coi quali realizzare questi testamenti: "I videoracconti avvengono in più giorni, assecondiamo il sentire dei pazienti. Oltre a telecamere e videomaker, occorrono anche psicologi che seguano il lavoro e sappiano guidarlo, se necessario" spiega Molinari. "La terapia della dignità – fa sapere Causarano – è stata messa a punto una decina di anni fa negli Stati Uniti, da Harvey Max Chochinov, uno psico-oncologo". Da qui l’ha mutuata l’associazione, da qui l’ha mutuata l’hospice del Niguarda. Da qui, infine, la definitiva affermazione di una opportunità preziosa: quella di potersi accomiatare da se stessi e dai propri cari avendo raggiunto la più ampia consapevolezza possibile di quella che è stata la propria vita. Non proprio senza pesi sul cuore, forse. Ma, perlomeno, senza parole che restino ferme, mute, inespresse tra cuore e gola.

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