Steelflex di Pioltello, l’azienda rinata sotto la guida degli ex dipendenti

Era sull’orlo del baratro, ora vende a mezzo mondo i suoi “giunti“ ad altissima tecnologia. E il futuro è l’intelligenza artificiale

Giovanni Valli e il presidente Elisabetta Bassilana assieme ai dipendenti della Steelflex

Giovanni Valli e il presidente Elisabetta Bassilana assieme ai dipendenti della Steelflex

Pioltello (Milano) -  Sette anni fa la costola da cui è nato il gruppo che ha saputo imporsi in Italia e all’estero era sull’orlo del baratro. A rilevarla, alcuni ex dipendenti, oggi al comando di Steelflex-Bbv Tech e un avvocato, Giovanni Valli, perito con una laurea in Giurisprudenza in tasca e uno studio avviato che naviga con sicurezza nel diritto d’impresa. Fra un mese il marchio di Pioltello centrerà uno degli obiettivi più importanti che abbia messo in cantiere da quando nel 2015 è cominciata la cavalcata sui mercati di mezzo mondo: "Inaugureremo la cittadella iperbarica di salvataggio per i sommergibili della Marina, un progetto unico in ambiente Nato. Solo gli americani hanno qualcosa di simile, ma le nostre camere si montano in 48 ore; le loro, no. Trasportate su un aereo si agganciano ai sottomarini". Valli, dress-code da grigliata aziendale – camicia di jeans e sneakers – è pronto per la festa: ieri salamelle e spiedini per tutti. È il racconto di una filosofia. "La trasformazione da aziendina padronale a smart-factory sarebbe impossibile senza di loro".

Loro sono i 53 metalmeccanici e una ventina di impiegati, ricercatori, dirigenti, "in una parola il gruppo", quasi quadruplicato dall’avvio da leggenda al successo di oggi, con una missione che ne ha fatto punto di riferimento per clienti come Finmeccanica, Eni e Saipem, solo per citare tre colossi: la produzione di compensatori di dilatazione. Volgarmente, giunti, come quelli che impediscono all’asfalto di spaccarsi sotto il peso delle macchine e dei Tir. Qui, però, sono parte di tubi dove scorrono petrolio, o acido solforico, "e una perdita potrebbe causare un disastro ambientale", sottolinea Flavio Lerco, direttore commerciale. Gli scenari difficili sono il loro pane quotidiano: "Dobbiamo garantire il passaggio di liquidi caldi o corrosivi in caso di terremoto, o sotto le bombe".

In sette anni "siamo passati da 5mila pezzi, a 20mila, da 15 dipendenti a 73 e a fine anno il valore di produzione sarà di 9 milioni (oggi sono 8) grazie a 30mila compensatori". La parola d’ordine in via Como è crescita. "Un risultato al quale siamo arrivati acquistando una trentina di macchinari 4.0, l’automazione però non è sostituzione dell’uomo. E’ integrazione". Il salto è riuscito grazie "a 8 milioni di investimenti, dei quali 2,5 in arrivo dallo Stato come aiuti Covid, spesi interamente, e il resto da risorse interne".

Tutto senza consumare un metro di suolo, grazie all’automazione e al personale "la fabbrica è sempre la stessa". "L’età media è bassa, abbiamo solo due pensionandi e una generazione di giovani appena entrati, le donne sono una ventina. La precarietà non esiste, qui, quando assumiamo qualcuno speriamo che resti a vita. Minimo sono diplomati, ma sempre più spesso si tratta di laureati. Per il cambiamento serve cultura. Da gennaio abbiamo portato a termine 2.200 ore di formazione, più 1.460 sulla sicurezza in reparto: numeri importanti". Prossima passaggio, "l’intelligenza artificiale, gli algoritmi ci aiuteranno sia nella produzione che nella gestione. Stiamo creando l’ecosistema necessario a questo passo. Fra gli step c’è anche l’assunzione di un ingegnere che analizzi i big data. Per stare sui mercati ci sono solo tre strade – conclude Valli – o schiavizzi i dipendenti infischiandotene dell’ambiente, o punti sul massimo della tecnologia. La rotta è impostata".

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