Sostegno ai minori con disabilità, mamma attacca: "Solo 45 minuti di terapia a settimana. Pronta al ricorso"

Milano, il figlio ha un disturbo dello spettro autistico: a maggio farà 14 anni e vedrà ridursi le cure. Ma Morena Manfreda non ci sta: "Ignorate le esigenze dei ragazzi, una soluzione o faccio causa"

Morena Manfreda e il figlio Manuel

Morena Manfreda e il figlio Manuel

A maggio Manuel compirà 14 anni. E questo compleanno gli porterà in dono una riduzione della durata delle terapie che gli sono garantite attraverso il voucher autismo, un voucher istituito l’anno scorso dalla Regione Lombardia. Una volta compiuti gli anni, Manuel avrà diritto ad appena 45 minuti di terapia a settimana: tanto quanto dura un solo tempo di una partita di calcio. Il secondo, però, rischia di giocarsi in tribunale. Sì, perché Morena Manfreda, sua madre nonché referente per la disabilità e la sanità dell’associazione “Su la testa“, è intenzionata a fare ricorso contro l’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) di Milano, che sovrintende e gestisce il sistema dei voucher sociosanitari. E che non sembra voler aumentare la dotazione del voucher, almeno per il momento.

Il tema sollevato da Manfreda è semplice e complesso al tempo stesso. È semplice perché sono le regole stesse del voucher autismo a prevedere che la durata delle terapie coperte da questa misura si riduca al crescere dell’età del beneficiario. Fino a quando Manuel continuerà ad avere 13 anni, il voucher gli riconoscerà un’ora e mezza a settimane di terapie coperte: un’intera partita di calcio, stavolta. Non molto, in ogni caso. Alla base di questa scelta c’è una valutazione: quando si tratta di autismo, l’intervento precoce conta più che in altri casi, quindi prima si iniziano le terapie e più facilmente si ottengono risultati. È complesso perché ci si scontra con l’inadeguatezza del sistema a compiere un salto qualititativo che è invece doveroso compiere: la personalizzazione delle terapie e dei percorsi.

Prova ne è la risposta ricevuta fin qui da questa madre quando ha chiesto alla stessa ATS soluzioni alternative a quei miseri 45 minuti settimanali: "Mi hanno fatto presente che posso portare mio figlio ad un Centro Diurno per Disabili", un servizio spesso standardizzato, un luogo dove, per piu ragioni, non è affatto scontato che ci possa essere una certa attenzione alle esigenze peculiari degli ospiti.

Da qui la rabbia di Manfreda: "Alla Regione Lombardia e all’ATS non importa approfondire il percorso e le esigenze di mio figlio. Manuel è un autistico grave di livello 3 che, in questi anni, ha compiuto progressi significativi attraverso il metodo Aba, l’apprendimento di autonomie e percorsi cognitivi. La soluzione più logica sarebbe quella di consentire a mio figlio, come a tanti altri ragazzi che si trovano nella sua stessa situazione, di proseguire lungo questa strada. Invece no, per Regione e ATS conta soltanto il criterio anagrafico, applicato senza alcuna attenzione al caso specifico, senza alcuna attenzione ai singoli. Tagliano le ore in base all’età, punto.

E come soluzione alternativa – prosegue Manfreda – propongono un Centro Diurno: come se l’aspirazione di un genitore fosse quella di trovare un posto dove lasciare il figlio per qualche ora anziché quella di vederlo progredire. Quella di confinarlo in un luogo fisico e anziché quella di incoraggiarne l’inclusione e l’autonomia in contesti ordinari. Infine c’è, a mio avviso, un tema di equità: tutti i ragazzi devono essere supportati allo stesso modo. E, in generale, lo sviluppo della persona con fragilità deve essere sostenuto in modo omogeneo. Nessuno smette di imparare con l’aumentare dell’età, nemmeno i minori con un disturbo dello spettro autistico".

Di fatto per le famiglie si apre una sola alternativa: quella di ricorrere al privato, di pagare di tasca propria per le terapie, a patto che si possa sostenere la spesa. Non bastasse, Manuel è da novembre senza educatore. Gli enti accreditati dalla Regione Lomb ardia e dalle ATS per assistere e sostenere le famiglie che hanno al loro interno persone con disabilità grave o gravissima faticano a trovare personale. E a trovarne di qualificato e motivato. E il servizio domiciliare viene garantito solo a intermittenza. Un altro problema che si ripete irrisolto da oltre due anni, ormai.

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