
Carabinieri
Milano, 26 gennaio 2017 - I due militari in pattuglia notano l’auto ferma nel parcheggio di un albergo. È sera, metà agosto del 2015. Decidono di vederci chiaro: all’interno della macchina ci sono un uomo di 57 anni e un ragazzo che non ne ha ancora compiuti 13. Non sono parenti, e nessuno dei due riesce a fornire una spiegazione plausibile della loro presenza in quel luogo. Nasce così, dallo scrupolo non banale di due carabinieri della stazione di Lainate, l’inchiesta che ha scoperchiato un giro di prostituzione minorile con adolescenti adescati da adulti di età compresa tra 30 e 62 anni sui siti gay di annunci: sette sono finiti ai domiciliari, due in manette. Le vittime si proponevano sul web, e sempre via internet venivano contattate dai «clienti» di turno. Gente insospettabile – padri di famiglia e uomini ancora residenti a casa dei genitori – che comprava due o tre ore di sesso con abiti firmati, smartphone e poche decine di euro (da 50 a 100 in base alla prestazione). Approfittavano «della situazione di disagio sociale, economico ed esistenziale» vissuta dai quattro ragazzi finora coinvolti (anche se il numero complessivo potrebbe aggirarsi sui quindici).
Gli incontri avvenivano nei posteggi di periferia o nelle abitazioni degli adescatori, dai paesini dell’hinterland al pieno centro di Milano. Tra le persone finite in manette ci sono imprenditori, impiegati, operai e gestori di locali della movida. Tutti accomunati da un’unica perversione: andare alla ricerca di quei ragazzini, celando le loro identità dietro pseudonimi e millantando professioni che non hanno mai praticato. A volte, però, la situazione scappava di mano. Ed è capitato, almeno in un’occasione, che il signore dai modi gentile che dispensava denaro e «regalini» si sia via via trasformato in un orco ricattatore. Lo sa bene un diciassettenne, costretto a subire violenza sotto la minaccia che la relazione clandestina arrivasse alle orecchie della madre. Alla fine, la mamma ha saputo tutto comunque. In che modo? Una mattina, l’adescatore le ha recapitato in macchina (che era regolarmente chiusa) una lettera minatoria in cui si faceva esplicito riferimento alle frequentazioni del figlio.
Da lì sono partite le verifiche della donna, che ha scoperto le inequivocabili conversazioni contenute nella mail del ragazzo e di conseguenza denunciato tutto. I carabinieri della sezione Indagini telematiche del Nucleo investigativo, con tutta la cautela e la sensibilità indispensabili in casi del genere, hanno fatto il resto: i minori, sentiti in audizione protetta, hanno svelato come funzionava il meccanismo, le verifiche su supporti informatici e utenze telefoniche (nonostante alcuni tentativi di depistaggio messi in atto dagli indagati per allontanare i sospetti) hanno confermato la versione degli adolescenti.
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