
Marina
Martini*
Uno dei problemi più importanti nell’ambito dei giudizi di separazione o di divorzio è la questione della casa familiare.
In questi casi il giudice può assegnare la casa in comproprietà tra i coniugi
ad uno solo di essi, estromettendo l’altro che non avrà la possibilità di
continuare ad abitarvi.
Il presupposto della decisione risiede esclusivamente nella convivenza con figli minori o comunque dipendenti economicamente e trova
giustificazione nell’esigenza di protezione della prole alla quale viene riconosciuto il diritto di continuare a vivere nel proprio ambiente domestico. Il principio è ormai consolidato nelle pronunce di tutti i tribunali che, pertanto, non provvedono sulla domanda di assegnazione quando non vi siano figli conviventi o vi siano figli conviventi ma non dipendenti
economicamente dai genitori.
Quando, invece, il giudice assegna la casa coniugale in comproprietà tra i coniugi a quello convivente con il figlio, assume un provvedimento che
comprime il diritto dell’altro a trarre utilità dal bene immobile su cui ha una pari titolarità. Infatti quest’ultimo dovrà lasciare la casa coniugale per tutto il periodo in cui si manterrà la situazione di convivenza del figlio con l’altro genitore. Ma cosa accade quando viene meno il presupposto della convivenza del genitore assegnatario della casa coniugale con il figlio, perché quest’ultimo si trasferisce altrove o, comunque, acquisisce una piena autonomia economica?
In questi casi, per recuperare la disponibilità della casa, occorrerà chiedere al giudice la revoca del provvedimento di assegnazione. Per effetto di tale pronuncia, il coniuge originariamente estromesso dalla casa familiare, ne riacquista la piena titolarità.
Ciò significa che, qualora il coniuge non rimetta spontaneamente la casa
nella disponibilità dell’altro contitolare del diritto di proprietà, nonostante il
provvedimento di revoca dell’assegnazione, e continui invece ad abitarla, potrà essere tenuto a pagare al coniuge comproprietario un congruo
indennizzo. Questo principio è stato da ultimo enunciato con chiarezza dalla Corte di
appello di Brescia che ha richiamato il dettato normativo dell’art. 1102 c.c. Per evitare quindi di esporsi a tale rischio, sarà necessario che i comproprietari trovino un accordo per vendere a terzi la casa ripartendo il ricavato per quote di proprietà o che uno dei due rilevi la quota dell’altro.
*Avvocato