
Selfie davanti ai monumenti
Milano, 29 aprile 2018 - Non avrai altro selfie all’infuori di me. Oggi l’autoscatto è per molti oggetto di venerazione, al pari di un dio. Eppure, a giudicare dal numero giornaliero di fotografie fatte a se stessi, il peccato più diffuso dev’essere diventato l’apostasia della foto precedente. Il binomio selfie ed opere d’arte è in crescita. Basta fare un giro nelle chiese più conosciute di Milano per rendersi conto che molte persone vi entrano per scattarsi una foto piuttosto che per vivere un’esperienza, magari non mistica, ma almeno estetica.
Una ragazza a Sant’Ambrogio, in un sabato di aprile: «Sono uscita con un’amica e ci scattiamo un po’ di foto da postare su Instagram». L’amica la raggiunge: «Chiara, vengono benissimo se ti metti davanti a quel coso di pietra con le statue, vieni». Si riferisce al pulpito, e la trascina lì. Ma a favore di obiettivo ci sono già altre persone e tocca fare la coda. Nella cripta si trova persino un signore intento a fotografarsi con le reliquie di Sant’Ambrogio: «La devo mandare a mio cugino che vive a Napoli. Si chiama Ambrogio perché mio zio da giovane era venuto a lavorare a Milano. Ci racconta sempre che veniva qui a pregare e Sant’Ambrogio gli aveva fatto trovare un bel lavoro». È surreale, ma un attimo dopo ha inviato la foto su whatsapp. A sua immagine e somiglianza li creò. I divini selfie sono molto più di esatte riproduzioni del proprio volto. Ci sono strati e strati di effetti di “abbellimento” che coprono i brufoli, saturazioni che renderebbero abbronzati persino gli islandesi, ombre che definiscono i muscoli e tanti ritocchi dai nomi strani.
Ma è il rito, minuzioso, prima della sacra ostensione del selfie sui social, e va rispettato: il selfie è perfetto, le persone tendono alla sua perfezione. Nel Duomo di Milano il fenomeno è ben più visibile. In biglietteria raccontano che i visitatori non chiedono più se ci sono riduzioni sul costo dell’entrata, ma se si possono fare fotografie. «Lo faccio per avere più “mi piace”: con le vetrate colorate vengono benissimo le foto», racconta Edoardo, uno dei pochi milanesi in chiesa. «Le foto del Duomo le posso trovare su internet, ma di me al suo interno no», è la spiegazione che dà Maria Hernandez, turista spagnola. «Scusate, sta iniziando la celebrazione»: un addetto della Veneranda Fabbrica del Duomo invita a lasciare la navata centrale. «Ma ho messo il silenzioso», replica una turista romana agitando il telefono. «Non è per il selfie, la messa è riservata solo ai fedeli», risponde il custode. E la signora abbandona il tentativo di fotografarsi con l’abside alle spalle, per andare nella navata destra a farsi un selfie con la Presentazione di Maria al Tempio del Bambaia.
Io sono la luce del mondo. Il selfie e la sua condivisione sono diventati i modi per comunicare agli altri ciò che si sta facendo. Chi segue me, non camminerà nelle tenebre. Senza i propri autoscatti sui social, si vive nel buio: nessuno saprebbe dove siamo e con chi. Il selfie guida, come il pastore, pecore e follower. Fotografare il proprio volto con alle spalle l’opera d’arte è una tendenza che coinvolge ancor più i musei. Su Instagram sono stati utilizzati circa tre milioni di volte gli hashtag relativi al Louvre di Parigi, rendendolo il museo più condiviso al mondo. Nuove esposizioni, come il Museo del gelato negli Stati Uniti, vengono costruite con l’idea portante di renderle instagrammabili.
Molti ricercatori e critici d’arte stanno approfondendo la questione. C’è chi sostiene si tratti di un fenomeno negativo, frutto di un narcisismo ossessivo, che nei casi delle opere d’arte con meno di 70 anni viola il diritto d’autore e che mette in pericolo i manufatti stessi a causa dei bastoncini per i selfie o della disattenzione; è celebre il caso dell’esposizione temporanea «Fabbrica 14» di Los Angeles, dove una visitatrice ha causato 200 mila dollari di danni facendo cadere delle sculture per farsi un selfie. C’è invece chi ritiene questa moda positiva, credendo che Instagram e il selfie facciano parte dell’esperienza estetica personale e che la condivisione esponenziale delle opere doni agli artisti maggiore visibilità. Intanto, nella Pinacoteca di Brera, si è formata già la fila: giovani coppie aspettano per scattarsi un selfie mentre si baciano davanti al Bacio più famoso del mondo, la tela di Hayez.