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Sanità, la riforma è diventata legge: ecco che cosa cambierà dal 2016

Il sì del Consiglio. Il governatore: guardiamo ai prossimi 20 anni di Giulia Bonezzi

Medici in corsia

Milano, 6 agosto 2015 - È legge la riforma che, nelle intenzioni di Roberto Maroni, prepara la sanità lombarda «ai prossimi vent’anni». A costo di cambiare, ora, solo la testa, cioè principi e governance del sistema sanitario regionale (il resto è rimandato a una legge-bis, per forza entro l’anno), il governatore mantiene la promessa di approvarla prima di andare in vacanza. Ieri verso le 22.30, in consiglio regionale, «abbracciando renzianamente i gufi». Così dal primo gennaio 2016 i lombardi non avranno più 15 Asl, ma otto Ats, Agenzie di tutela della salute, chiamate a programmare e controllare i servizi sanitari e socio-sanitari senza più erogarli. Ci penseranno le Asst, 27 Aziende socio-sanitarie territoriali che (al momento) sostituiscono interamente 29 Aziende ospedaliere. Avranno un ramo ospedaliero e uno territoriale, a sua volta articolato in Pot (presidi ospedalieri, residenze socio-sanitarie e strutture a media e bassa intensità pensate per i malati cronici), e PreSst, (presidi socio-sanitari, cioè ambulatori deputati alla presa in carico delle fragilità, come disabili e anziani). E e dovendo concretizzare l’integrazione tra sanitario e socio, affidata per legge a un assessorato unico al Welfare, le Ats e le Asst hanno un direttore in più: oltre al generale, all’amministrativo e al sanitario, il socio-sanitario. I dirigenti da nominare, aggiungendone tre per ciascuno dei 4 Irccs e per l’Areu, e i direttori delle nuove Agenzia di controllo (scelto tra candidati selezionati dal comitato nomine, mentre i tre membri del board saranno indicati dalle minoranze) e di promozione, diminuiscono di sole cinque unità. Da 162 poltrone a 157.  Qualcosa cambia nel sistema di nomina, che debutta a fine anno: Pd, civici e 5 stelle hanno ottenuto che una commissione indipendente distilli, dagli elenchi degli idonei, una lista di migliori; ma il governatore potrà ignorarla (una clausola anti-ricorsi). Non sembrano penalizzati i privati accreditati, che, anzi, potranno stipulare «contratti analoghi» a quelli delle Asst con le Ats; i grillini sono riusciti a fare abrogare un articolo che apriva a quelli senza contratto per smaltire le liste d’attesa. Restano le maggiorazioni tariffarie per gli Irccs e gli ospedali universitari, e la «legge Daccò» nella versione light di Forza Italia (contributi al no profit ma non per costruire e non chi, come Maugeri e San Raffaele, controlla o è controllato dal profit). Le Ats sono articolate in distretti sovrapponibili alle Asst, che interagiscono con le conferenze dei sindaci. Una mappa a densità variabile: dalle piccole Ats della Montagna (per ragioni orografiche) e di Pavia (per l’ostinazione dei lodigiani a voler stare con Milano), passando per Val Padana, Insubria, Brianza, Bergamo, Brescia, fino alla sterminata Città metropolitana che ha il territorio di quattro Asl, tre Irccs (Besta, Tumori, Policlinico) e nove Asst. Comprese Niguarda e ortopedica Pini-Cto, che eran rimaste aziende ospedaliere fino all’ultimo. Ma non è l’ultima parola: una norma transitoria rimanda al 31 ottobre per una verifica della geografia, che potrà essere modificata dal consiglio su proposta della commissione Sanità.

E un ordine del giorno impegna la Giunta a reinserire cinque Ao più una: Niguarda, Civile di Brescia, Papa Giovanni di Bergamo, San Gerardo di Monza, Circolo-Macchi di Varese, e «quelle che nel frattempo avranno acquisito i requisiti» ministeriali (come l’ospedale di Legnano). «Valuteremo i flussi, eventuali nuove argomentazioni – chiarisce Maroni -, ma personalmente sono contrario: diventare Asst non è un declassamento, è una sfida. Il nostro compito è avere una visione di futuro». Dice, intendendo ben altro rispetto alla «fuga in avanti» di cui lo bacchetta l’alleato recalcitrante Forza Italia, per bocca del capogruppo Claudio Pedrazzini in dichiarazione di voto. Alla fine: 28 contrari (le opposizioni, che pure hanno rinunciato all’ostruzionismo, «abbiamo limitato i danni»), zero astenuti, 46 a favore. Sul tabellone, la luce dell’assessore azzurro alla Salute Mario Mantovani non s’accende; colpa della tessera magnetica, giura lui, che ha fatto cilecca.

giulia.bonezzi@ilgiorno.net